DOLCE MONTENEGRO,
LE NON NOVITA’ DI PLATINI PRESIDENTE UEFA

di Stefano Olivari

Cedo, come avvenuto altre volte, il mio spazio a Stefano Olivari, uno dei migliori giornalisti italiani. L’intento era di scrivere un pezzo sull’elezione a presidente Uefa di “Le Roi” Michel Platini, sedicente rivoluzionario del mondo pallonaro. Tesi che Stefano sostiene meglio di me. Dal prossimo mese, comunque, tornerò al mio egoismo artigianale. È una promessa, se così si può dire.
Fabio Alessandria

Con due partiti o comunque due soli candidati la corsa verso il centro ed il compromesso è quasi obbligatoria, ma per i grandi organismi sportivi internazionali già il fatto che l’esito di una votazione sia incerto sembra una grandissima conquista democratica. Insomma, anche il Platini annacquato che a Dusseldorf è stato eletto presidente dell’Uefa può fare grandi cose per il calcio senza andare a ledere gli interessi di quei grandi club che hanno giocato tutte le carte, più o meno false, a loro disposizione, per sbarrargli la strada. Essendo già stata televisivamente venduta La Champions League è nella sostanza intoccabile per tre anni, l’Europeo 2012 sarà probabilmente allargato a 24 squadre, rendendo così le qualificazioni ancora più inutili di quanto non siano adesso (nonostante ormai chiunque possa fondare uno stato sovrano, con l’aggiunta del Montenegro siamo solo a 53 federazioni), la Coppa Uefa non interesserà a società che hanno vinto tutto come il Livorno o il Palermo, però in quasi tutta Europa è considerata importante (negli stadi rumeni e bulgari non mandano più i militari) e nel 2009 sarà rifondata, in ogni caso l’interesse comune è quello di far valere di fronte all’Unione Europea il concetto di specificità dello sport (il quattro più quattro che fra due stagioni entrerà a regime è comunque meglio di niente). E allora in cosa alla fine si sono differenziate le posizioni di Platini e Johansson? Ad un primo livello di lettura il primo ha avuto dalla sua il carisma del campione, l’esperienza da dirigente Fifa e dell’organizzazione del Mondiale 1998, il secondo rappresentava la continuità ed una non dichiarata promessa di non disturbare troppo i grandi club. Sfumature, nulla: la famosa personalizzazione della politica? Del tipo Blatter-Platini-Boniek (e magari anche Briaschi e Vignola) contro Johansson-Beckenbauer? Se guardiamo alle decisioni concrete e di breve periodo sicuramente sì, ma nella sostanza il voto all’uno o all’altro nei casi in cui non ha rappresentato uno scambio è stato di tipo ideologico, e anche forte. Il blatterismo di Platini non si è manifestato solo nell’averlo sostenuto nel 1998 (proprio contro Johansson) come presidente Fifa spostando su di lui molti consensi di quel terzo mondo su cui la Francia esercita ancora un certo prestigio, ma anche come volto pulito di innovazioni o tentativi di innovazione come il Mondiale biennale che avevano e hanno un unico scopo: spostare il centro dell’interesse calcistico. Se un bambino statunitense si appassiona a Chelsea-Barcellona o al limite anche ai tre Sampdoria-Inter in una settimana, piuttosto che alle partite della sua nazionale piuttosto che dei club della sua terra, in termini di potere puro questo atteggiamento diventa pericolosissimo. Massimi sistemi: tornando sulla terra, un candidato di alto profilo ne ha battuto un altro di alto profilo. Anche se sui personaggi di livello internazionale, da Blatter in giù, di solito il giornalista italiano può sparare impunemente. Magari poco prima di inginocchiarsi di fronte all’ultimo addetto stampa di provincia che ti dice: “No, oggi Tizio non parla”..