JESUS LOVES YOU!

di Fabio Alessandria

Quando Giovanni Paolo II è morto la tentazione del coccodrillista è stata fortissima. Perché non celebrarlo come uno sportivo? Wojtila faceva trekking, ha appreso della sua nomina a cardinale mentre andava beatamente in canoa, sciava con buona padronanza nonostante le lunghe e angeliche sottane papali. È stato molto vicino al mondo dello sport avendone capito, forse, il forte ruolo mediatico e di appeal verso i giovani che, non a caso, dedicavano a lui, Papa Karol, gli stessi cori da stadio che la domenica sono riservati ai centrattacco. Desistevo, invece, e fedele al motto morto un papa se ne fa un altro aspettavo la nuova nomina. Mi ripetevo: è giunta l’ora del papa sudamericano. Meglio se brasiliano. Un paese dove c’è per presidente un operaio, Lula, per ministro della cultura un grande musicista come Gilberto Gil, un paese dove, con tutte le contraddizioni e gli eccessi possibili, la fede viene ancora vissuta come qualcosa di concreto e reale, il paese faro di cinquecentomilioni di fedeli, quelli della parte povera e sfruttata del mondo, un paese dove perfino lo sport si colora di religione e ci sono gli “atleti di cristo”, quelli che portano sulla maglia un cuore con scritto di sotto “Gesù vi ama”, merita di avere questo riconoscimento politico. Il Brasile, del resto, ha figli estrosi e una grande esposizione mondiale grazie al fùtbol. Lucio, roccioso difensore del Bayern, segna una rete in finale di Coppa campioni e cosa fa? Esibisce la famosa maglietta, Ricky Kakà marca un gol e cosa fa? Batte la mano sul cuore e guarda in alto, ringrazia Dio perché lo ha assistito. Zé Maria fa una segnatura? Sul sottomaglia invece di avere la foto della figlia o dell’amante ha un versetto di Giovanni. Ronaldinho Gaucho sbaglia un passaggio o un rigore? Si fa il segno della croce lo stesso perché “Dio è grande e va comunque ringraziato”. Ecco chi sono gli atleti di Cristo, che non sanno cosa sia la saudade, che rinunciano alla promiscuità del carnevale e si rilassano leggendo la Bibbia. I primi a portare alla ribalta questo modello di giocatore furono i nazionali dei primi anni Ottanta, quelli con Zico numero dieci, Falcao regista e il dottor Socrates alla mezz’ala, in porta uno strano spilungone abbastanza scarso di nome Joao Leite. Temperamento mite e sorriso sottile e perenne, fu uno dei primi ad essere considerato un atleta di Cristo a tutti gli effetti e impose la consuetudine di scrivere “Jesus loves you” sotto ogni suo autografo. Tipi controcorrente che hanno fatto da precursori di una tendenza che oggi, tra i calciatori carioca, è la norma, passato il trend del festajolo e donnajolo. Solo così, con la radicata consuetudine, si spiega infatti la bellissima immagine che ha chiuso il Mondiale nippo-coreano del 2002. Un’enorme bandiera verdeoro al centro del campo e, tutti attorno, i giocatori inginocchiati a rendere grazie all’Altissimo per la vittoria mentre la torcida si scatenava in balli ai limiti della censura. La migliore scenografia possibile per unire sacro e profano nella rappresentazione dell’enorme e straordinario enigma chiamato Brasile. Ovviamente la speranza laica del Papa sudamericano è durata pochi giorni. Niente doppio passo, flip-flap e dribbling. A guidare la chiesa c’è il difensore dell’Ortodossia, il teologo tedesco Joseph Ratzinger che ha scelto il nome di Benedetto XVI. Invece del fantasista, come spesso succede, ha avuto la meglio il difensore e la scelta è caduta su quello più agguerrito. D’altronde se metti là dietro Beckembauer a fare il libero di gol ne prendi un gran pochi… magari non fai spettacolo ma uno zero a zero lo porti sempre a casa.