L’ESTETA IN VOLO

di Fabio Alessandria

L’Olimpo della ginnastica ha perso la sua stella più anziana. È morto, all’età di novantaquattro anni, Savino Guglielmetti. Lombardo, parlata gentile, accento milanese, è stato per molti decenni il faro del movimento ginnico italiano. Una carriera lunghissima durante la quale, purtroppo, Guglielmetti, complici anche le tragiche circostanze della Seconda Guerra Mondiale che stoppò lo sport per un lustro, ha raccolto molto meno di quanto avrebbe meritato. Funambolo del salto a cavallo (quello che oggi si chiama volteggio) e dotatissimo alle parallele è l’esempio perfetto dello sport olimpico d’avanguardia, fatto di geniali dilettanti, spirito di sacrificio e talento puro. Comincia a volteggiare con la Pro Patria, giovanissimo, ma non viene considerato abbastanza maturo per prender parte ai Giochi del ’28, ad Amsterdam. La sua grande occasione sono i Giochi del ’32. Ha 21 anni, è nel pieno del suo spericolato atletismo. Il viaggio Roma- Los Angeles è materia da consegnare al mito. Dodici giorni di nave, senza praticamente potersi allenare, poi una pausa per tre giorni, a New York, e, infine, cinque giorni di treno per giungere a destinazione. Le cronache dell’epoca narrano che gli italiani scendessero ad ogni stazione per fare corsa e allungamenti tutt’intorno al treno. L’Olimpiade parte tra mille difficoltà e si chiude in un trionfo assoluto: oro a squadre e oro individuale a cavallo, più piazzamento alle parallele. I giornali americani sono pieni di fotografie del “volo d’angelo a braccia tese”, da lui perfezionato, a livelli fino ad allora impensabili, che gli vale un posto nella fantasia della gente e nell’empireo sportivo. (vedi foto). A questo punto la sua carriera è a un bivio: ad Hollywood lo vogliono mettere sotto contratto come acrobata e controfigura, lo riempirebbero di soldi e di gloria, ma il suo passaporto è nelle mani dell’allenatore che non può lasciare in America il nuovo volto della gloria fascista. A Berlino ’36 gareggia con il polso fratturato e finisce quinto, quindi salta l’Olimpiade del ’40 dato che viene costretto ad adoperare le sue doti ginniche come istruttore ai cacciatori di carri; va in guerra, viene ferito e ottiene il congedo. Torna a Milano l’8 settembre 1943. Ricomincia ad allenarsi e partecipa, trentasettenne (età già allora pazzesca per un ginnasta) alle Olimpiadi di Londra del ’48. Alle parallele buca il podio per colpa di una controversa votazione di un giudice egiziano. La sua attività agonistica si ferma lì, comincia quella di allenatore e accompagnatore federale. Mantiene, nel frattempo, la vicepresidenza della Pro Patria, la società che, sportivamente, lo aveva visto nascere. Da allora passa quasi mezzo secolo a istruire giovani e a rinfrancare campioni (l’ultimo, in ordine di tempo, Igor Cassina, che in tempi non sospetti aveva dedicato la sua medaglia d’oro al maestro) al servizio dello sport che amava e grazie al quale ha raggiunto l’immortalità sportiva: viene infatti introdotto, nel 1998, nella Hall of Fame della Ginnastica. D’altronde la via era segnata dal destino. A 11 anni il piccolo Savino scivola da un cornicione del quarto piano e si aggrappa in volo ad un cavo telefonico, posto alcuni metri più in basso. Vista così la prova di coraggio del volo d’angelo rientra, per un uomo tanto speciale, tra le cose banali… anche se a noi è concesso solo di sognarle.