EROI O MORTI DI SERIE B?

di Rashka

Il 27 aprile di quest’anno la televisione ha cominciato di nuovo a parlare di guerra. Messi da parte i dibattiti, i “testa a testa” che precedevano le elezioni politiche, i vincitori dei vari reality, sono tornati a far parlare i carri armati. Con pigrizia apriamo di nuovo gli occhi e ci ricordiamo di Nassirya. Ormai ci stiamo abituando all’idea di una guerra infinita, di bassa intensità. Sta diventando un virus latente, e noi ne siamo portatori sani, forse. Torniamo a parlare della guerra perché ci sono dei morti italiani. Sono tre, e sono militari. Sono Nicola Ciardiello, Franco Lattanzio e Carlo de Trizio. Sono nomi che probabilmente tra qualche mese non ricorderemo, ma che lasceranno dei vuoti intorno ai loro familiari, agli amici. Li abbiamo chiamati eroi, li abbiamo onorati con i funerali di Stato e li abbiamo, come tutti gli altri prima di loro, messi da parte. Eroi. Il dizionario, alla voce eroe, fa corrispondere la seguente definizione: “chi sa lottare con eccezionale coraggio e generosità, fino al cosciente sacrificio di sé”. Be’, allora sì, i nostri morti sono eroi, si sono sacrificati per la patria, anche se dietro corrispettivo, hanno donato la loro vita. Morti per la guerra di pace (parlare di guerra non mi piace, è troppo audace, preferisco parlare di forze di pace, che offrono focacce a famiglie afgane, dai loro carri armati fatti di marzapane… Citazione da Michele Salvemini, Ti Giri n.d.r.), ironico ma degno del titolo di eroe. Morti per portare la democrazia dove non c’era (?!). Morti per il loro lavoro di soldati.
Guardando lo stesso telegiornale che parla e fa parlare di questi eroi, scorre a fondo schermo una piccola scritta: “caduti da un ponteggio, sei morti in un cantiere edile”. È bene saperne di più. Navigando alla ricerca di una notizia più completa riguardante questi morti, di cui nessuno parla, trovo informazioni terrificanti. 2 milioni e 200 mila persone muoiono ogni anno al mondo per cause di lavoro. Restiamo in Italia, perché certamente non si può fare di tutto il mondo un paese parlando di condizioni lavorative. Nel 2004 l’INAIL ha contato 1400 morti per cause di lavoro solo in Italia. Facendo un rapido conto capisco che 1400 in un anno vuol dire circa quattro al giorno. Ecco perché quella notizia era scritta così in piccolo! È “normale” che vi siano questi morti! L’INAIL assicura anche che il numero di tali incidenti si sta abbassando, e nel 2005 abbiamo un risultato inferiore del 2,8%. Ci mette però in guardia, in quanto sono tanti gli incidenti mortali che vengono camuffati e non contati come incidenti sul lavoro, come in realtà sarebbero. Inoltre è necessario tener conto delle morti dei lavoratori clandestini, che non vengono denunciate in quanto nemmeno la persona risulta esistere. Stiamo parlando solo di morti, senza contare mutilati, feriti, malati di patologie legate all’impiego di materiali non proprio salutari sul posto di lavoro. Questo “fenomeno”, già imponente nel nostro Paese, tanto da far coprire all’Italia un quarto dei caduti sul lavoro nell’Europa a 15, è stato certamente coadiuvato dalla riforma avvenuta con la legge 626 del governo Berlusconi. Tale legge sposta ogni competenza di controllo sulla sicurezza del lavoratore dallo stato alla singola impresa, ovvero ai singoli imprenditori (passo alquanto pericoloso). Tornando alle cifre, deduco che quello del muratore, dell’operaio, del metalmeccanico, non è un lavoro meno pericoloso di quello del soldato. Si può morire in battaglia come in un cantiere edile, con dignità. Si può morire per il proprio lavoro anche se non si è impegnati in missioni militari, e non si è scelto di farlo. Cosa sono questi 1400 morti, trattati come morti di serie B, che non meritano alcuna parola, se non una piccola scritta a fondo pagina? Non possono essere errori, come quelli degli incidenti stradali, perché erano certamente consapevoli dei rischi che correvano. Sono forse eroi anche loro? Lottato hanno lottato, faticando giorno e notte in ogni stagione in fabbrica o sul cemento caldo; coraggio devono averne avuto per passeggiare non imbragati a decine di metri d’altezza (proprio come quelli che cercano di sbloccare una pressa guardando cosa c’è incastrato, o quelli che salvano bambini e anziani da case arse dalle fiamme, etc.). Si sono anche sacrificati, hanno dato la vita. Allora rileggo la definizione di eroe dal mio dizionario e mi chiedo: perché non va mai nessun onore a questi morti? Perché non ammettiamo che ci sono eroi che non indossano la divisa militare?


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