VITA DA “EXTRACOMUNITARIO”

di Assan Cisse

Sono Assan e vengo dal Senegal. Sono nato a Dakar, sono musulmano, sono sposato e ho due figli. Vivo e lavoro a Castiglione, il mio sogno è tornare in Africa ad aiutare la mia gente, quella dei piccoli villaggi senz’acqua e senza niente che li possa far sentire parte del mondo moderno ed industrializzato, perché vorrei che non ci fossero più paesi così arretrati dove vivere significa solo soffrire. Sono diplomato perito industriale e ho lavorato in Senegal come tecnico. Mia moglie è laureata e lavora in banca a Dakar. Spinto dalla vita, dagli amici e da tanti sogni mi sono trovato prima in Francia e poi in Italia, dove i titoli di studio non vengono riconosciuti. Mi accontento di essere operaio e lascio mia moglie in Africa per non farla diventare una donna delle pulizie. Non mi sono mai sentito diverso dagli altri ma solo un essere umano che ha passato più o meno bene parte della sua vita. Solo da quando sono in Italia, mi pesa il fatto di essere un extracomunitario, ho perso molti dei miei diritti e mi sento responsabile di molti doveri: ho conosciuto l’attesa, la sofferenza e la disuguaglianza, ho visto coi miei occhi come la vita possa essere un bene inutile, e questo mi ha fatto cambiare. Sono cresciuto, ho capito che devo mettermi in gioco e contribuire ad aiutare gli altri per permettere a qualcuno di imparare più in fretta, di non perdere l’opportunità con scelte sbagliate o affrettate o opportuniste. La ricerca di un mondo nuovo intorno a me mi ha portato all’Associazione Equatore e qui ho ritrovato un po’ della mia identità, mi sono sentito parte di tante problematiche straniere, ho potuto sorridere, parlare ed esprimere me stesso. Così sono diventato un volontario dell’ufficio stranieri e come tale incontro la maggior parte dei comunitari e degli extracomunitari della zona e con loro la loro vita, le loro vicissitudini, la loro speranza e la loro disillusione. Ogni caso è un caso unico e particolare. La mia esperienza può permettermi di dare consigli ed è solo questo che posso fare a volte. Che cosa fa di me un uomo? Non certo il mio corpo, o il mio pensiero, non certo il denaro o qualsiasi altra cosa io possegga. Io mi sento un uomo nel momento in cui mi riconosco in un mio simile al di là del colore della pelle e di qualsiasi differenza. Mi sento un uomo nel momento in cui percepisco le sue emozioni. E come uomo, come cittadino, come straniero, come volontario e come chi ha qualcosa da dire voglio presentare il caso di A.D., cittadino del Togo. A.D. si presenta in ufficio con una richiesta di informazione abbastanza semplice: “Tra un mese arriveranno i miei due figli con il ricongiungimento familiare; a chi mi devo rivolgere per la scuola?”. Questo papà parla bene l’italiano ed è veramente interessato, chiede e dà spiegazioni vuole sapere tempi, interventi, modalità come qualsiasi genitore al mondo farebbe per i suoi figli.
Io penso ai miei: il più grande di otto anni ed il piccolo che non vedo da mesi… A.D. spiega: “Mia figlia ha 10 anni e quindi deve andare in quinta elementare mentre mio figlio ne ha cinque e andrà ancora alla scuola per l’infanzia. Quali scuole ci sono a Castiglione e dove sono?” Non è una richiesta isolata la sua, anzi, spesso diamo indicazioni delle scuole. Dei due comprensivi di Castiglione delle Stiviere, uno ha un’alta percentuale di stranieri e l’altro ne ha di meno. Se io portassi mio figlio vorrei che andasse in una scuola che lo prepari a superare tutti gli ostacoli e che gli consenta di arrivare all’università. Io non mi permetto nessun giudizio sugli insegnanti e neppure sull’organizzazione scolastica, sono certo però che dove la confusione è maggiore, maggiore sarà la possibilità per il nuovo arrivato di distrarsi e perdere nozioni di base, minori saranno gli stimoli positivi, maggiore l’identificazione con i compagni meno disciplinati. Quindi va da sé che ho consigliato ad A.D. di portare i figli nella scuola dove c’è un numero inferiore di stranieri, perché penso che la migliore integrazione tra bambini italiani e stranieri ci sia quando le classi sono equilibrate e che un’alta concentrazione di stranieri con problematiche di permesso di soggiorno, di sopravvivenza e familiari possa portare facilmente a discriminazioni e a classi ghetto. Quindi chi ha la responsabilità dovrebbe cercare di evitare che questo succeda e distribuire i bambini, in modo equilibrato, sui due istituti. In questo momento, visto che le scuole non prendono decisioni specifiche nei confronti degli stranieri e del loro numero, dobbiamo essere noi a dare consigli perché la cultura è un diritto. Non tutti gli stranieri fanno una scelta ponderata, la maggior parte segue l’amico o il conterraneo, per non isolarsi, e così diventano incontrollabili le conseguenze… In Africa le scuole migliori sono quelle private e non hai molta libertà di scelta; poi vivi bene se accetti l’Africa così com’è. Ma una volta in Italia ho visto che qui c’è un po’ di confusione. Si parla molto, si crede a molto ma non si arriva dove si vuole e si può arrivare: ci si ritrova spesso al punto di partenza.


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