LE NOTTI BIANCHE (2)

di Diego Albano

“Non mi sento tutelata né come donna né come madre. Facciamo turni notturni da 10 o 11 ore, senza poter nemmeno recarci in bagno. Alla fine ci si arrangia in qualche modo”. Sono parole di una donna che lavora come guardia giurata presso un’agenzia di vigilanza del mantovano. Dopo la pubblicazione di “le notti bianche”, la Civetta è stata ricontattata da una Vigilante che ha voluto raccontare la vita di GPG (Guardia Particolare Giurata) da un punto di vista femminile. L’abbiamo incontrata assieme ad una sua compagna di lavoro, e ancora una volta è emerso un quadro preoccupante fatto di giornate infinite, situazioni al limite della legalità e turni massacranti. I problemi maggiori derivano infatti da una politica del “risparmio” comune, secondo le nostre fonti, a tutto l’ambiente della vigilanza privata. “Non abbiamo praticamente mai l’auto di servizio a disposizione. In questo modo non siamo riconoscibili e diventa tutto più pericoloso. Lavoro come guardia da più di dieci anni - afferma una delle fonti - e avrò usato l’auto di servizio una volta. Ma il problema più grande è dato dal fatto che, quando ti chiamano, devi andare. Non hai orari fissi. Se provi a rifiutare, minacciano di licenziarti”. E se il dipendente ha un contratto a tempo indeterminato, il metodo è sempre lo stesso. “Ci mandano a lavorare lontano da casa, o cercano di renderci la vita difficile”. In una parola, Mobbing. Una situazione pesante, soprattutto se vista al femminile Per chi ha bambini, e magari vive sola, non è semplice. “Abbiamo turni di 15 ore filate, oppure il famoso 5+1, cioè cinque giorni di lavoro e uno di riposo, saltando il giorno di riposo. Lavorando in continuazione. In teoria ci sarebbe anche una mezz’ora di pausa, che non facciamo mai. Invece ci sobbarchiamo turni massacranti e dobbiamo dare disponibilità totale, nessuna concessione; i titolari sono sordi a qualsiasi richiesta Io non ho più una vita sociale”. Ma c’è dell’altro. “Capita anche di essere maltrattati dai clienti, che sono un po’ i nostri secondi datori di lavoro”. La fretta di impiegare i nuovi assunti porta, infine, a chiudere un occhio sui tempi per ottenere un porto d’armi. “Vorremmo sapere come mai capita che gente non armata venga mandata a ispezionare degli allarmi. La questura dovrebbe controllare. I nuovi assunti vengono mandati subito in autopattuglia, eppure sono necessari dai trenta ai sessanta giorni per armare qualcuno”. Non è solo una questione di sicurezza: secondo il regolamento emesso dalla questura, le GPG che ispezionano luoghi protetti da allarme sono tenute ad essere armate. Mentre parliamo ci mostrano una busta paga. Sono poco più di mille euro, per 220 ore lavorate. Una media di undici ore al giorno, se si considera una settimana lavorativa di cinque giorni. Non a caso è in corso una vertenza nazionale per il rinnovo del contratto collettivo, fermo da circa tre anni. La Civetta è in possesso della bozza che i sindacati dovrebbero presentare a livello unitario al tavolo delle trattative. Nel documento i sindacati rivendicano incrementi salariali, una rivalutazione delle indennità e piccoli aumenti delle quote da destinare all’assistenza e alla previdenza integrativa. Al momento in cui questo numero va in stampa, il testo non è stato ancora approvato in forma ufficiale. L’ultima preoccupazione, per chi lavora nel settore, viene però da alcune nuove società di vigilanza che applicano contratti di “lavoro a progetto”, una delle tante forme contrattuali introdotte dalla legge Biagi. Il risultato è una tendenza ad abbassare i costi del servizio, aumentando flessibilità e tagliando gli stipendi dei dipendenti. Una trovata giudicata “incompatibile” con il lavoro di Guardia Giurata dallo stesso capo della pubblica sicurezza De Gennaro in una circolare destinata ai prefetti e ai questori del novembre 2005. Tra i motivi addotti, il fatto che la prestazione di vigilanza debba essere assogettata a “specifiche regole tecniche e prefissati standard di sicurezza e tecnologici”.


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