CARO PETROLIO: PAGA PANTALONE

di Lupen III

Da oltre tre anni le quotazioni del petrolio registrano una fase di crescita con evidenti ricadute sul prezzo finale della benzina: in valori medi il prezzo del petrolio è passato dai 18 dollari al barile, fine 2001, agli oltre 70 dollari di questi giorni (+289%). Analoga tendenza ha mostrato il prezzo di benzina e gasolio alla pompa. L’incremento dei prezzi è imputabile a diversi fattori concomitanti: maggiore richiesta mondiale, indotta dallo sviluppo economico di alcune aree del pianeta (Italia ed Europa escluse), crisi geo-politica, fattori strutturali specifici del mercato petrolifero (concentrazione delle risorse in pochi paesi, insufficiente capacità di raffinazione degli impianti esistenti, scarsa propensione alle esplorazioni di nuovi giacimenti da parte delle compagnie…). Questi elementi di tensione, comuni a tutti i paesi del mondo, in Italia producono effetti ancora più negativi, per le caratteristiche specifiche del mercato energetico nazionale. Il nostro paese, privo da anni di una seria politica energetica di diversificazione, ha il triste primato della benzina più cara d’Europa a parità di potere d’acquisto: nel mese d’agosto il prezzo ha superato le vecchie 2.500 lire al litro, nonostante il petrolio venga pagato in dollari. Da oltre tre anni l’Euro ha subìto un processo di rivalutazione contro il dollaro americano, passando dal punto di minimo di circa 0,82 dollari/euro (nel 2002), al massimo di 1,36 dollari/euro (nel 2005), pari ad un incremento medio percentuale superiore al 65%. Esprimendo i prezzi di petrolio e benzina in euro si osserva una crescita sui tre anni analizzati di circa +135% e +150% rispettivamente: per il petrolio il dato è confermato dalle rilevazioni del Ministero delle attività produttive; ma nel caso della benzina, sempre dalla stessa fonte, si rileva un incremento reale +165% c.a. La differenza è probabilmente tutta da imputare ai costi del nostro sistema antiquato di distribuzione e alle politiche tariffarie del governo: sul prezzo della benzina incide un 62% circa di carico fiscale che incamera lo Stato e che si trasferisce al prezzo finale pagato dall’automobilista; inoltre lo Stato, quale primo azionista dell’ENI, percepisce, da oltre tre anni, cospicui dividendi mediante una saggia ed oculata gestione delle tariffe dei carburanti che avvantaggia le compagnie petrolifere. Si origina in tal modo un doppio prelievo occulto i cui effetti sono facilmente visibili sul portafoglio degli italiani.


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