IL SECOLO DI EINSTEIN

di Leonardo Tonini

Per avvicinarsi a una figura come Albert Einstein bisognerebbe prima fare uno sforzo per andare di là del mito che la storia ne ha fatto, andare oltre il personaggio Einstein. Ma il compito non è per niente facile perché tutto in lui si presta a essere mitizzato, persino i dettagli umani, le debolezze e gli errori. Il professor Einstein è stato, ed è tuttora l’immagine dello scienziato, del genio, l’icona di quello che è riuscito a compiere l’uomo fino a oggi, nel bene e nel male. Se le sue intuizioni da un lato hanno aperto campi di indagine vastissimi e speculazioni del pensiero enormi, pochi riescono a distaccarne la figura – con i capelli arruffati, la felpa troppo grande – dall’inquietante immagine del fungo atomico dietro di lui, come appare in una celebre copertina del Time. Per capire l’importanza di un simile personaggio basterebbe vedere la diffusione della sua immagine, il numero sterminato di biografie, le ricerche, i premi nobel che ancora oggi sono assegnati per scoperte impossibili senza il suo contributo. Il premio Nobel 1993, ad esempio, è stato dato a due fisici per aver confermato la presenza di onde gravitazionali che lo scienziato tedesco ipotizzò nel 1916. Nel 1995 furono tre astrofisici a ricevere il premio dal re di Svezia per la scoperta di uno stato della materia che Einstein aveva calcolato nel 1924. La sua teoria era così innovativa che il comitato che assegna il premio si divise per anni sulla questione di assegnarlo per qualcosa che, per i mezzi dell’epoca, non poteva essere confermato. Alla fine fu premiato per una scoperta minore, l’effetto fotoelettrico. Lo stesso Einstein era sorpreso e incredulo di fronte alla cascata di scoperte che le sue intuizioni diedero luogo. Molte di esse furono duramente attaccate dallo stesso scienziato che non riusciva a staccarsi da un certo buon senso pratico, ma che lo videro, alla fine, arrendersi all’evidenza. Una di queste era la teoria quantistica, di cui lui, anche se non proprio il padre come fu della teoria della relatività, fu senz’altro il nonno, colui che intuì la natura doppia della luce, che con l’immagine dei quanti diede il là a una serie di studi davvero infinita sulla fisica atomica e sub atomica. Eppure, se vogliamo andare oltre il mito, oltre la simpatica e confortante immagine di questo vero e proprio simbolo, e allo stesso tempo capire la reale portata delle sue scoperte, dobbiamo addentrarci nelle sue teorie. Per questo, un utile strumento è il libro di Michio Kaku, La visione di Einstein (Codice Edizioni, 180 pag 21 euro).

L’autore, un professore di fisica con un vero e proprio talento per la divulgazione scientifica che non sia, come va di moda oggi, una spettacolarizzazione piatta dell’argomento, si addentra nei concetti creati da Einstein con una chiarezza espositiva splendida. Già il sottotitolo del libro è interessante: Come la visione di Einstein ha trasformato la nostra comprensione dello spazio e del tempo. Si parla appunto di visione. Lo stesso scienziato dirà: “Tutte le teorie fisiche, a dispetto della loro espressione matematica, dovrebbero prestarsi a una descrizione tanto semplice da poter essere compresa anche da un bambino”. Questa è la sfida, raccolta con successo, da Kaku che riesce ad essere semplice senza dimenticare la precisione. E, infatti, in tutto il libro non compare una sola espressione, una sola formula. Per visioni, quindi per immagini. La prima, che frutterà la teoria della relatività ristretta, è quella di un bambino che corre su un raggio di luce, una favola dell’infanzia a Ulm in Germania. Come vediamo un raggio di luce se corriamo alla sua stessa velocità? Proprio visualizzando cosa sarebbe accaduto, lo scienziato ebbe l’intuizione che il cosmo di Newton non era fatto per le situazioni estreme e che la materia era solo una forma di energia. Più tardi lo scienziato si chiese se era possibile comprendere anche la gravità nella sua teoria, che fluttuava in uno spazio privo di realtà. La gravità è stata la grande sfida di Einstein, perché era l’elemento che separava l’ideale dal reale. E, dopo incredibili fatiche intellettuali e anni di frustrazioni penosissime (trovava assurdo essere così famoso per una teoria capata in aria), ecco che una seconda immagine gli fornisce la chiave di volta dell’intero sistema. Immagina i pianeti come biglie che rotolano su una superficie curva intorno a un centro costituito dal Sole. Immagina una superficie di gomma che si pieghi per il peso dei pianeti. Ecco il tassello mancante: la gravità non è altro che un effetto della curvatura dello spazio. Filosoficamente potremo dire che la materia e la gravità non esistono in sé, ma sono effetti.

L’ultima parte della vita di Einstein è dedicata alla ricerca della terza immagine, quella che gli consentirebbe di unire la teoria della relatività (dell’immensamente grande, dal nostro punto di vista) a quella dei quanti (dell’immensamente piccolo). La terza immagine non arrivò mai. Ma Albert Einstein stava davvero camminando in un territorio oscuro, ancora non si erano ben comprese le implicazioni della teoria ristretta che egli non solo aveva formulato una teoria più completa e profonda, ma cercava qualcosa che andasse molto oltre. Per capire la difficoltà incontrate basta riflettere sul fatto che questa terza teoria non esiste ancora, a cinquant’anni dalla morte dello scienziato. E la bomba atomica? Il libro di Kaku non si ferma alla divulgazione scientifica, ma fornisce un’attenta biografia di Einstein e del suo personaggio e quando arriva al tasto dolente fa il lavoro dello storico, dice i fatti e lascia al lettore giudicare. Lo scienziato firmò la lettera a Roosvelt per invogliarlo a finanziare il progetto della bomba atomica. Era un pacifista, convinto e attivo, tanto che era guardato a vista dalla Cia (su di lui esistono migliaia di pagine di rapporti a cui finalmente è stato tolto il segreto). Quando i migliori scienziati presenti sul suolo americano furono mandati in Nuovo Messico, lui fu lasciato a Princeton. Era troppo compromesso con i pacifisti, ma, pur odiando la violenza e la guerra, riteneva che contro un atteggiamento che mette in pericolo l’intera umanità (il nazismo), bisognasse agire – e firmò.


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