CAMPI D’ACIDO PER SEMPRE

di Giovanni Caiola / underdog1982@libero.it

La Sub Pop la conoscete tutti, spero. Breve riassunto per i più distratti: fra la fine degli anni 80 e l’inizio dei 90 la missione di questa etichetta di Seattle fu quella di diffondere il verbo grunge, cioè la musica – calibrato miscuglio di hard rock e punk – che in breve tempo avrebbe cominciato a dominare prima l’underground e poi le classifiche mainstream di mezzo mondo. Ma il colpo di fucile che nell’aprile del 1994 pose fine alla tormentata esistenza di Kurt Cobain fu anche l’inizio dei titoli di coda per quell’epopea. La Sub Pop parve essere giunta al termine della sua gloriosa, seppur breve, corsa. Grosso errore di valutazione. Jonathan Poneman ha cominciato infatti da allora a guardarsi intorno, alla ricerca di nuovi giovani talenti musicali e i risultati sono oggi sotto gli occhi di tutti: la Sub Pop ha sotto contratto un parco musicisti talmente vario e valido da far impallidire la gran parte delle concorrenti. Dai Mudhoney agli Shins, dai Rapture ai Low, da Damien Jurado ai Jennifer Gentle. Sono proprio questi ultimi quelli dalla vicenda più curiosa, perché si dà il caso che siano italiani e ditemi voi se non suona strano che un gruppo del Belpaese sia sotto contratto con una etichetta statunitense! Per di più dopo che nessuno qui da noi li ha degnati della minima attenzione! Così dopo due album (I Am You Are e Funny Creatures Lane) autoprodotti e, a dire il vero, poco riusciti, i padovani Marco Fasolo (chitarra) e Alessio Gastaldello (batteria) hanno subito approfittato dell’inaspettato interessamento di Poneman. Il primo frutto del nuovo sodalizio è stato il più persuasivo ma ancora acerbo Valende nel 2005, disco che in ogni caso ha portato i Nostri a suonare in giro per il mondo. Esperienza che si è rivelata decisiva oltre ogni dire: innanzitutto per la composizione stessa della band essendo rimasto al timone il solo Fasolo, inoltre per il sensazionale salto di qualità compiuto nella composizione dei nuovi brani. Per farvene un’idea non dovete far altro che procurarvi il recentissimo The Midnight Room, album appunto nel quale il ventiseienne chitarrista fa tutto da solo – dal vivo lo accompagna una band di quattro elementi – e si stenta a crederlo, talmente è bello e curato. Se in passato l’aggettivo “psichedelica” associato alla musica dei Jennifer Gentle era parso un azzardo (“psicotica” s’adattava sicuramente meglio), oggi è davvero difficile trovare in giro qualcosa di più beatamente lisergico degli spartiti vergati da questo ragazzo. Da sorgenti d’acido allucinogeno sgocciolano notturne melodie pop deviate e devianti che in un istante danno alla testa, ed inquietanti marcette circensi che fanno scommettere che Syd Barrett (il nome della band è giusto un omaggio a El Syd Campeador) sia risuscitato per donarci ancora qualche sognante visione musicale: arduo scegliere fra Telephone Ringing o Take My Hand o The Ferryman o Electric Princess o… qualunque altro dei dieci brani in scaletta. Più che un semplice disco una droga: bellissimo!


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