NICK HORNBY AL FESTIVALETTERATURA

di Ilaria Feole

Quattro persone s’incontrano casualmente sul tetto di un palazzo londinese la notte di Capodanno, e da quel momento le loro vite s’intrecciano irreversibilmente; lo spunto del nuovo romanzo di Nick Hornby non sarebbe di per sé troppo originale, non fosse per il dettaglio che ognuno dei quattro protagonisti è salito su quel tetto con la ferma intenzione di saltare il parapetto e suicidarsi. Costretti dalle circostanze a rinunciare ai propositi suicidari, i quattro, profondamente diversi tra loro per indole ed esperienze, si ritrovano a formare un maldestro (e, per il lettore, esilarante) “gruppo di sostegno” e la forzata convivenza li porterà a rimandare a tempo indeterminato la decisione estrema. Hornby, ospite alla nona edizione del Festivaletteratura a Mantova, ha esordito nell’incontro coi lettori commentando che, quando il suo editore italiano gli ha spiegato il doppio senso che il titolo Non buttiamoci giù assume nella nostra lingua, gli è sembrato talmente azzeccato che quasi non era più necessario pubblicare l’intero libro, il cui contenuto è proprio questo: non potendo buttarsi letteralmente giù da un palazzo, i protagonisti fanno i conti con la propria vita e imparano a non “buttarsi giù”, ad affrontare le difficoltà senza arrendersi. L’evento del festival che vedeva protagonista lo scrittore inglese ha registrato il tutto esaurito fin dal primo giorno di prenotazioni, eppure il 7 settembre, sotto una pioggia battente, erano più di cento i lettori speranzosi di accaparrarsi i posti rimasti nel cortile della Cavallerizza. E certamente non saranno rimasti delusi; informale e ironico, Hornby ha tenuto banco per un’ora e mezza parlando di letteratura, di musica, di calcio, di politica e di religione, regalando al pubblico battute da entertainer consumato, (provocatoriamente gli viene chiesto cosa ne pensa di Blair, e serissimo risponde che, tra i tanti crimini commessi da Blair, tra cui aver attaccato l’Iraq, il più grande è certamente andare in vacanza con Cliff Richard, un impomatato cantante inglese. Il giornalista Enrico Franceschini gli fa notare che Blair va spesso in vacanza anche con Silvio Berlusconi, e Hornby ipotizza allora che il suo primo ministro trascorra le ferie con chiunque possieda una villa in qualche località amena) e mostrandosi, senza pose da intellettuale, per quello che è: tifoso sfegatato dell’Arsenal (come narrava nell’autobiografico romanzo d’esordio Febbre a 90°), patito di musica pop e rock (ne ha dato prova nella sua opera più celebre, Alta fedeltà, nonché nella raccolta 31 canzoni) e lettore vorace (alla domanda di stilare una classifica dei suoi scrittori viventi preferiti, ha messo al primo posto l’americana Anne Tyler, poi Roddy Doyle e Zadie Smith). Non buttiamoci giù si presenta per certi aspetti come la naturale evoluzione dei temi già presenti in Un ragazzo (il terzo romanzo di Hornby e, secondo chi scrive, decisamente il suo migliore); il suicidio evitato e la conseguente (ri)scoperta dei rapporti umani, anche quelli nati nei modi più imprevedibili, come unica “rete di sicurezza” per un’esistenza disastrata e solitaria. Le voci narranti, da due che erano in Un ragazzo, si moltiplicano; quattro diversi caratteri si alternano nella narrazione dimostrando l’abilità di Hornby nel maneggiare registri differenti e nel delineare, attraverso gli scarti di stile, quattro personalità complesse che emergono vivide dalla pagina. Una bella sfida, per ammissione dello stesso scrittore, che in questo romanzo ha potuto dare un tocco più nero alla sua vena ironica, riuscendo a mantenere la narrazione in miracoloso equilibrio tra il dramma e la comicità senza mai scadere nel grottesco o nel patetico. Non è difficile prevedere che anche questo, come (quasi) tutti i suoi romanzi, diventerà un film.


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