CESARE BECCARIA

di Leonardo Tonini

Cesare Beccaria, milanese, pubblica la sua opera più famosa dei delitti e delle pene a soli 26 anni. Si era laureato sei anni prima e, benché assai giovane, possedeva una forte avversione per qualsiasi forma di ingiustizia e una notevole maturità e conoscenza della condizione umana. Per ribellione con l’ambiente familiare, decisamente conservatore, si avvicina al circolo di Pietro e Alessandro Verri i quali capiscono subito le potenzialità del giovane. Dalle serate in casa Verri viene a formarsi il pensiero del Beccaria che si traduce, nel 1764, nel famoso trattato di nemmeno 100 pagine. Il successo fu immediato e senza precedenti in tutta Europa. Pur essendo stato subito inserito nell’Indice dei libri proibiti (1766), divenne presto celebre nei circoli intellettuali di Parigi, allora capitale dell’Illuminismo europeo. Il gruppo che si raccoglieva attorno al barone d’Holbach adottò il Beccaria tra i suoi scrittori. Diderot e Voltaire espressero vive lodi. Le traduzioni furono in tutte le lingue europee. Divenuto improvvisamente famosissimo, il giovane si trova completamente impreparato. Di carattere timido e introverso, già in difficoltà con la famiglia da cui era scappato, fatica a reggere la tensione. Viene infatti pubblicamente attaccato dagli ambienti clericali e reazionari che lo accusano di voler distruggere la società. Invitato a recarsi a Parigi, parte in compagnia di Alessandro Verri (1766). Pur accolto trionfalmente dagli enciclopedisti, dopo poche settimane decide improvvisamente di tornare a Milano, travolto da nostalgie per l’amatissima moglie a cui scrive appassionate lettere d’amore. Sarà proprio questo episodio - la fuga da Parigi e il sentimentalismo dichiarato per la moglie - ad attirare le critiche degli amici. Questo stato di cose non fa altro che peggiorare il carattere di Beccaria che si chiude ancora più in se stesso. Tanto che quando Caterina II gli chiese di presiedere alla riforma del codice penale russo, non se ne fece nulla per l’indisponibilità dello scrittore. Ma il libro circola e nel 1786 Leopoldo II, proprio facendo riferimento a quel libro, sancisce l’abolizione della pena di morte nel Granducato. Ma quali sono queste novità contenute nel celebre trattato? Primo, il delitto è separato dal peccato e si trasforma in “danno, recato alla comunità. L’ordine sociale per il giovane giurista nasce dal contratto fra gli uomini di una determinata società e non per diritto divino, quindi la pena è l’applicazione del diritto di legittima difesa della società stessa e deve essere proporzionata al reato commesso. Pertanto, è ingiusto infierire con torture, umiliazioni e carcere preventivo, un uomo è ritenuto innocente finché non si prova la sua colpevolezza. La stessa pena di morte va abolita in quanto nessun uomo ha il diritto, in una società basata sul contratto fra persone eguali, di disporre della vita di un altro suo simile. La condanna capitale rende inoltre irreparabile un eventuale errore giudiziario. Questi pochi princìpi fanno di Cesare Beccaria l’iniziatore del diritto moderno. Un paese che non tiene conto che nel 1764 è stato scritto questo agile libretto da un ragazzo, dovrebbe retrodatare i suoi calendari di 242 anni.


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