I LIBRI DELLA CIVETTA

di Paolo Capelletti

“Secondo un celebre apologo cinese, Chuang-tzé sogna d’essere una farfalla; ma chi dice che non sia la farfalla a sognare d’essere Chuang-tzé?”. Il quesito ci viene posto da Raymond Queneau, nel risvolto di copertina che presentò la prima edizione de Les fleurs bleues, del 1965, ed è lo stesso quesito che ne accompagna la lettura rendendola appassionata e divorante. In apertura siamo catapultati nel 1264, il 25 settembre, e incontriamo Joachim Duca d’Auge, intento nel valutare la confusa situazione storica dalle mura del suo castello; ben presto è l’ora di cena, poi del riposo e, nel chiudersi le palpebre del Duca, si aprono quelle di Cidrolin, che vive su una chiatta attraccata alla riva del fiume della metropoli, poco lontano da un campeggio, ai giorni nostri. Il Duca d’Auge vive con le figlie, lo scudiero Mouscaillot e il prete Don Biroton ed è un tipo dalle maniere sbrigative, se si vede contraddetto diventa manesco, odia sentirsi limitato nell’esercizio della propria autorità, in particolare dai funzionari della corona e il suo più grande affetto è rivolto a Sten, il suo destriero dotato di brillante favella e dedito ad auliche letture. Cidrolin ama la tranquillità, vive con Lamelia che è l’unica delle sue figlie ancora da maritare e, avendo passato un paio d’anni in carcere, per via di una sentenza ingiusta, trova continuamente scritte ingiuriose sulla staccionata in cima all’argine, così di frequente che coprirle con una mano di pittura è divenuto il suo unico passatempo. I due, così diversi, si incontrano solo l’uno nei sogni dell’altro, il prodotto onirico sembrerebbe essere il Duca, che ad ogni apparizione si trova in un’epoca storica diversa e sempre più recente, ma come negare la sua esistenza reale quando un colpo di scena lo catapulta proprio accanto a Cidrolin, ospite sulla sua chiatta? Tra pasti luculliani, grandi bevute di essenza di finocchio, gli strani dialoghi di Cidrolin con un passante ripetitivo che si intromette nei suoi soliloqui e l’anticlericalismo del Duca che dà vita a filosofiche discussioni con i funzionari religiosi che lo circondano, Queneau crea un’opera dai diversi piani di lettura; l’ironica comicità si intreccia con esperimenti letterari assolutamente innovativi, i neologismi introdotti manifestano il genio dello scrittore francese, la lettura diventa godibilissima tra gag spassose e virtuosismi pirotecnici. Da sottolineare l’importanza fondamentale della traduzione italiana operata da Italo Calvino nel ’67, traduzione che ne testimonia tutto il talento linguistico e che è stato frutto, come raccontano quindici pagine, a firma di Calvino, che fanno da postfazione all’edizione Einaudi, di un lavoro inizialmente scoraggiante ma poi stimolante, come una sfida vinta su tutta la linea, soprattutto per la capacità di mantenere una resa efficace dei calembours e per la leggerezza del testo che riesce a farlo sembrare scritto originariamente in italiano. Un libro stupefacente da leggere e rileggere più volte, un capolavoro assoluto.


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