L’UOMO SENZA SONNO RADIOGRAFIA DEL GENERE PSICO-THRILLER

di Dą(vide) Bardini / ibridumb@yahoo.it

Il film The Machinist del regista inglese Brad Anderson risale a due anni fa e ricordo quando lo vidi, in un piccolo cinema di Brescia, in compagnia di Ilaria Feole e di un amico. Ricordo la sensazione di malessere che lasciò, la patina di tremore fossilizzata su occhi e bocca, quel suo impatto così violentemente perverso. Ho deciso di parlarne brevemente ora vista la recente uscita in edicola del DVD. Trevor Reznik è operaio in una fabbrica che lavora il ferro, ha circa trent’anni e pesa una quarantina di chili. Frequenta stabilmente una prostituta (Jennifer Jason Leigh) e fa una vita molto abitudinaria. Il suo unico problema, o meglio, quello più grande, è che Trevor non dorme esattamente da un anno! Come si è forse intuito, il film è un thriller psicologico, per definizione e in ogni aspetto e, scindendone i componenti, ne risulta una vera e propria “radiografia del genere”. La narrazione innanzi tutto; il suo tessuto è perfettamente aderente al cervello del protagonista; è la ricerca interna della causa della sua sofferenza per giungere alla propria espiazione, rappresentando praticamente l’oggettivazione della sua psiche. La sorprendente fotografia (Xavi Giménez) poi, che è talmente caratteristica (caratterizzata) da assumere contenuto trascendente, qualificante, quasi attoriale. Le location sono industriali: fabbrica, aeroporto e asfalto (“grazie” a precisionisti e iperrealisti che mezzo secolo fa diedero dignità artistica a questi spazi!). È in questi teatri opachi e grigi che il corpo si scinde dalle sue particelle sensoriali e si scarnifica lasciando Trevor e la sua mente a un unico e unificante nervo ascetico privo di carne (“se dimagrissi ancora, scompariresti” gli dicono le sue donne). Christian Bale in fine, chiamato ad uno sforzo fisico alla Toro Scatenato (Martin Scorsese) dimagrendo di trenta chili, che incarna splendidamente la figura kafkiana di inetto, di inadatto. La definizione di outsider però, non va intesa come isolamento forzato in contrapposizione ad una società malvagia ed elitaria di matrice classista. Non c’è un vero antagonista al protagonista, semplicemente perché lui stesso è antagonista di se stesso; tutto inizia e finisce sul suo corpo, nella sua mente e specialmente per questo la definizione “Thriller Psicologico”è assolutamente calzante. Le citazioni e le somiglianze si sprecano e anche se il sottotitolo del film in Italia può sembrare un “tantino” esagerato (“un incubo ad occhi aperti tra Lynch, Polanski e Hitchcock”), ho trovato comunque effettivamente ponderate queste tre “paternità” a cui Anderson guarderebbe. Le riprese durante i tragitti in automobile per esempio, con le sovrapposizioni, i riflessi sul parabrezza e gli archi di accompagnamento, di punteggiatura, che ricordano pienamente quelli del musicista Hermann nell’Hitchcock maggiore. Il paradosso poi, l’assurdo, la contrapposizione di fronte alla quale mettono gli eventi, il concitato retrogusto pscicologico è invece roba famigliare per Lynch e Polanski. Va detto, comunque, che nonostante queste convergenze e quelle con Fight Club e Spider, The Machinist mantiene un’importante ed essenziale autonomia stilistica. Sinceramente, giunto alla fine della mia recensione, non mi sento molto soddisfatto: temo di non essere riuscito nell’intento di convincere i lettori a visionare la pellicola a tutti i costi. Talvolta m’accade, ma solo quando un film è talmente ben fatto, come questo, da ricordarmi che parlarne è quasi stupido e fuorviante e che il cinema deve essere visto, non parlato. Ergo, taccio e auguro: Buona visione! Buona visione! Buona visione!


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