IL RUGGITO DELL’IGUANA

di Giovanni Caiola / underdog1982@libero.it

The Stooges, ovvero come cambiare il corso della storia del rock con tre soli dischi e poco più di venti canzoni. E se non avesse inciso altri album in solitaria Iggy Pop, che della band è stato il cantante, sarebbe un mito comunque. Il fatto è che gli Stooges hanno quasi da soli inventato l’hard-rock (quel quasi si riferisce a MC5, Blue Cheer e… beh, Led Zeppelin) e non potremo mai essergliene grati abbastanza. Hanno liberato una volta per sempre la bestia che si agitava nelle viscere dell’anima del rock e scusate se è poco. 1969, Detroit. Quattro ragazzacci, che poco prima avevan deciso quasi per gioco – più tardi ammetteranno che era il modo migliore per acchiappar fanciulle – di formare una band, pubblicano il loro lp d’esordio, prodotto nientemeno che dall’ex Velvet Underground John Cale. Quello che Iggy Stooge (solo in seguito Pop), Ron e Scott Asheton e Dave Alexander producono è un suono malato, urticante, devastante. E se credete che sì forse poteva esserlo all’epoca ma oggi non più, ascoltate The Stooges e ve ne renderete conto con le vostre orecchie. 1969 e I Wanna Be Your Dog formano un dittico d’apertura difficilmente scordabile: nel primo brano pare di ascoltare Bo Diddley dopo un trattamento di droghe pesanti, mentre nel secondo si sente la regressione dell’uomo allo stato brado (lo dico e scrivo una volta per tutte: “animale da palcoscenico” è un’espressione che a Iggy calza più che a chiunque altro si sia cimentato con la musica rock). Nel prosieguo si segnalano ancora l’ossianica We Will Fall, il beat caracollante e solforico di No Fun e la sublime benché perversa (anzi sublime proprio perché perversa) Ann. Un anno di attesa e vede la luce Fun House, ed è la piena conferma di un momento creativo felicissimo per i ragazzi. La produzione stavolta è affidata a Don Gallucci (forse non l’avete mai sentito nominare ma è colui che suonava l’organo nell’immortale Louie Louie dei Kingsmen) che si rivelerà, alla fine, il produttore migliore che il gruppo abbia avuto. Brani come Loose, T.V. Eye, Dirt, 1970 e L.A. Blues sono dense colate di ribollente magma sonico che sciolgono la mente. Purtroppo a questo punto lotte intestine portano il gruppo allo scioglimento e solo l’insistenza di un fan d’eccezione come David Bowie riesce a convincerli a tornare in sala d’incisione nel 1973 per un ultimo album. Registrano così Raw Power che esce a nome Iggy & The Stooges e missato dallo stesso Bowie (all’epoca in pieno trip Ziggy Stardust): disco tutto sommato poco coeso che però offre con Search And Destroy, Gimme Danger e Your Pretty Face Is Going To Hell (Hard To Beat) tre brani spettacolarmente efficaci. La storia degli Stooges si chiude formalmente qui, anche se nel recente Skull Ring Iggy ha richiamato al suo fianco i vecchi compagni di un tempo per una più che discreta rimpatriata. Ma dell’Iggy solista i dischi che vanno assolutamente posseduti sono The Idiot e Lust For Life entrambi prodotti nel 1977 da Ziggy Stardust… ops… da Thin White Duke… mannaggia… da David Bowie.


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