INTERVISTA AI BLAKE

di Giovanni Caiola

Non ho mai amato le interviste. Il più delle volte mi annoio addirittura a leggerle, figuriamoci a doverle fare. Così quando mi è arrivato l’ordine (ad essere sincero un po’ me la son cercata) d’intervistare i Blake per questo giornale, sono stato preso dal panico. Come si può far trapelare qualcosa di veramente significativo da qualche domanda sì attentamente studiata, ma sostanzialmente inutile? Con l’intervistato mi piacerebbe avere un rapporto meno distaccato, più complice: non da musicista a “critico”, bensì da appassionato di musica ad appassionato di musica, da uomo a uomo insomma. E figurarsi se ad essere intervistato è un intero gruppo di musicisti. Servirebbero mesi, se non addirittura anni, per poterselo permettere. Ma forse in questa occasione io potevo permettermelo, dato che alcuni dei componenti dei Blake mi onorano della loro amicizia ormai da qualche anno. Così ho provato a fare un’intervista diversa dal solito, lasciando gli intervistati liberi di parlare riguardo la loro musica, lanciando loro ogni tanto solo qualche suggestione che accendesse il dibattito. Quel che segue è il risultato di tale “esperimento” e per eventuali complimenti o insulti l’indirizzo è sempre il medesimo. La chiacchierata è iniziata solamente dopo aver tutti bevuto una buona sorsata di birra, quasi fosse indispensabile cacciar via un vago senso d’inquietudine. Il primo a prendere la parola è stato Giacomo Schena (batteria) che si è lamentato del titolo quasi definitivo scelto per il loro cd di debutto – registrato nello studio Living rhum di Giovanni Bottoglia; e già che ci sono ne approfitto per fare i complimenti a Giovanni riguardo alla splendida operazione che con il suo studio di registrazione sta portando avanti già da qualche anno –, Get Old Or Die Trying (ripresa ironica di un proverbio americano che recita “Get rich or die trying”, a quanto mi hanno spiegato), secondo lui poco convincente. Purtroppo per Giacomo, però, il resto dei componenti ha trovato il titolo viceversa adatto ad esprimere l’attitudine del gruppo e pare proprio quindi che quello sarà anche il titolo definitivo del disco. Mi è venuto allora subito spontaneo chiedere proprio al batterista quali fossero i rapporti di forza interni al gruppo, e la risposta è stata più che esauriente: “La democrazia non regna sovrana, Matteo (Morbio, voce e chitarra) dice una cosa e noi tre ne diciamo un’altra, cercando poi di venirci incontro ma non è facile… anzi… è impossibile”. L’espressione finale che gli si legge in viso lascia capire che le decisioni alla fine spettano sempre al cantante, ma quest’ultimo è prontamente svelto a riparare affermando, rivolto ai colleghi, che “I Blake siete al 99% voi tre, siete lo strumento che mi incanala. In fondo io scrivo i testi, è vero, ma la musica la plasmiamo prima tutti assieme”. E, a proposito dei testi, Emanuele Tononi (basso e cori) ci tiene a farmi sapere che “I nostri temi fondamentali sono l’amicizia e la fedeltà. Ma la fedeltà fra amici, perché non parliamo mai di tematiche amorose se non per canzonarle”, tema questo dell’ironia molto caro al gruppo visto che un po’ tutti han voluto dire la loro: da Giacomo (“La nostra è un’ironia da riso amaro”) a Matteo (“L’ironia è fondamentale per chi, come noi, non parla direttamente di politica o di tematiche strettamente politiche. Quando scrivo un testo, infatti, penso sempre ad una persona particolare o ad una situazione particolare capitata magari ad un amico. Non parlo mai di come va il mondo in generale”). A questo punto nasce spontaneamente un dibattito fra lo stesso Matteo e Giacomo riguardo al modo di scrivere i testi, evidentemente non conoscendo il batterista il metodo di scrittura utilizzato dal proprio cantante; discussione accesa ed interessante che mi fa quasi venir voglia di realizzare questo genere d’interviste un po’ più spesso. Spentosi l’ardore polemico abbiamo subito provveduto ad ordinare un’altra birra per tutti – evidentemente la sacra triade “sesso, droga e rock&roll”, (de)cantata dall’indimenticabile Ian Dury, dovrebbe essere nel nostro caso mutata in “sesso, birra e rock&roll” anche se la prima discriminante tende spesso e malvolentieri a latitare – e nell’attesa della “bionda” Fabrizio Pagliara (chitarra e cori) ammette candidamente di non aver partecipato al dibattito perché non conosce i testi delle canzoni. Risata generale e fine dell’intervista per Fabrizio che si è spontaneamente defilato dalla scena. Ma non si è trattato però solo di un intervento spiritoso, infatti da qui è nata la discussione riguardante il problema della lingua, i testi dei Blake difatti sono scritti e cantati in inglese e a chiarirci il perché di questa scelta è stato il bassista (“Cantiamo in inglese per via della fonetica, dei suoni e della ritmica e anche perché possiamo cantare quel che vogliamo senza che ci capiscano!”). Mi sono chiesto, quindi, se la musica dei Blake dovesse essere considerata in qualche modo “generazionale”, cioè rivolta maggiormente ad un certo tipo di pubblico rispetto ad altri, e la prima risposta che ho avuto è stata di Giacomo (“È una musica che chi ha più di trent’anni non ascolta, in questo forse siamo generazionali”) seguita subito dalla precisazione di Matteo riguardo al fatto che “Nei testi siamo ben poco generazionali, basta dire che già nel titolo del disco consigliamo d’invecchiare. Invecchiare è il fine della vita, ma oggi nessuno lo vuol più fare… e torniamo così alla componente ironica dei nostri testi. Per la musica invece ci rifacciamo all’hardcore melodico della meta dei 90, cioè a band quali Face To Face, No Use For A Name, Lagwagon e Palsy” e dalla efficace sintesi delle due risposte precedenti propostami da Emanuele: “La musica è forse generazionale, ma nei nostri testi non solo i giovani possono identificarsi”. Dopo aver parlato del progetto Last Chance Community (“Un’associazione di gruppi italiani, fondata dai Jet Market, che si cercano date a vicenda in giro per l’Italia” mi ha fatto sapere ancora Emanuele) che dovrebbe portare i Blake ad esibirsi a Torino, Verona, Reggio Emilia, Roma, Cosenza, Bari e Lecce, è arrivato il momento di salutarsi. Non prima però di aver precisato che “Siamo più complessi dei Ramones, più tecnici dei Sex Pistols, più fichi dei Finley”. Grazie per la serata e buona fortuna, ragazzi!


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