ARTE (GIOVANE) A GAZOLDO

di Roberto Teotti

La quinta edizione della biennale d’arte di Gazoldo degli Ippoliti, curata da Paola Artoni e Antonella Gandini, terminata il mese scorso, tentava di collegarsi alle numerose iniziative promosse dal comune di Mantova per celebrare l’anniversario della morte del Mantegna. Agli artisti chiamati a parteciparvi, di età non superiore ai quarant’anni, è stato chiesto di dialogare a distanza con il maestro quattrocentesco, in particolare con la Camera degli Sposi del Palazzo Ducale. Operazione non sempre riuscita e, per alcuni, un poco forzata. I lavori comunque fanno della loro autonomia e del loro linguaggio, per tutti contemporaneo, la giusta base da cui sviluppare tale impegnativo rapporto. Magari per negazione, come in White Silence di Paola Risoli che contrappone alla densità di personaggi delle pareti mantegnesche l’assenza metafisica delle sue tele, rappresentanti paesaggi e nature morte, oppure al chiassoso vociare di quell’affollamento la bianca negazione di oggetti ridipinti. Dania Zanotto, con Da Oriente a Occidente, costruisce invece un ponte ideale fra distanze sia temporali che spaziali. Enormi vesti fabbricate con svariati materiali, appese al soffitto, hanno la capacità di richiamare linee orientali, ma soprattutto ricordano con la loro ieratica possenza le figure della Camera Picta. L’invenzione della prospettiva, carica di conseguenze non solo per il Quattrocento, è ripresa nella CamerAptica del gruppo Spazio Visivo. Da un punto si ammira come l’ingegno umano abbia risolto il problema della rappresentazione bidimensionale, ma basta spostarsi per capire che ciò è avvenuto a scapito dell’unità dello spazio. I tre artisti, di cui uno cura l’installazione mentre gli altri due il sonoro, ulteriore segno della ricerca di componenti elementari, in questo caso attraverso fonemi e fruscii, invitano a superare la frantumazione astratta, a guardare senza veli la realtà contemporanea. La mostra si avvale della presenza internazionale di Paul Beel e Junko Imada. Quest’ultima, giapponese che da molti anni vive in Italia, installa nell’unica stanza vetrata dell’edificio un grande ovulo azzurro insidiato da una folta schiera di spermatozoi, che subito rimanda allo squarcio di cielo accerchiato da dame e putti affrescato nella Camera degli Sposi. Il soffitto smaterializzato dal Mantegna si polarizza diventando materia vitale. La luce che inonda l’ambiente nelle belle giornate non fa che aumentare la fecondità potenziale di Space Love. Fra i dieci artisti intervenuti va pure citato Mario Piavoli; a lui il merito di aver scelto come referente a cui ispirarsi il Cristo Morto dipinto nel 1500 circa, di cui anche l’ubicazione angusta ricorda lo scorcio vertiginoso. La video-installazione Reverse, sostanzialmente incentrata sulla luce come simbolo di rinascita, non si sofferma solo sul momento tragico della morte, ma riferisce l’idea di speranza che albeggia nel nuovo giorno.


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