“XXIV PREMIO FIRENZE - EUROPA”
il fiorino d’argento a Giovanni Pegoraro

di Luca Cremonesi

A Palazzo Vecchio in Firenze nel Salone dei Cinquecento, il prossimo 2 dicembre, si terrà la cerimonia di premiazione delle opere premiate nella sezione Arti Visive del XXIV Premio Firenze. Il Premio Firenze, giunto alla XXIV edizione, è promosso ed organizzato dal Centro Culturale Firenze-Europa con il patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, del Ministero delle Attività Produttive, del Consiglio Nazionale delle Ricerche, del Comune e della Provincia di Firenze. Nato come premio letterario e ampliatosi dal 1994 alle arti visive, costituisce il principale riconoscimento per le personalità che nel campo della cultura, delle arti, delle professioni hanno egregiamente operato in Firenze.
Tra gli artisti premiati, il “fiorino d’argento” va a Giovanni Pegoraro, la cui opera pittorica è stata da molti apprezzata nella personale “geranio…polveriera”, alla Torre Civica di Medole. Questo importante riconoscimento è un’ulteriore conferma della validità e originalità della produzione dell’artista, la quale estrinseca attraverso segni linguistici che indagano il “profondo percettivo con una pittura colta, raffinata, proiettata nello spazio concettuale come provocazione a pensare, a vivere, in definitiva ad essere…” come ha scritto di lui Gilberto Cavicchioli.

Credo che l’importanza del premio che ha ricevuto meriti un commento dell’interessato. Allora, Professore, come mi commenta questo fatto?
Mi fa ovviamente piacere sapere che altri apprezzino la mia ricerca artistica al punto da premiarla; un riconoscimento solletica sempre la componente narcisistica dell’artista e dell’uomo, a maggior ragione se evoca luoghi (Firenze) e dimensioni culturali (Rinascimento) che hanno giocato un ruolo fondamentale nel processo storico-culturale.

Calvino, nei suoi Promemoria per un nuovo millennio, pubblicati postumi, parla della lentezza come uno dei valori che dobbiamo riscoprire nella nuova epoca che si apre. Di questa lentezza, che è poi sinonimo di rigore intellettuale, guardando le sue opere, se ne può avere un esempio concreto. È d’accordo con questa possibile lettura che propongo delle sue opere?
È una lettura corretta. Del resto le scelte tecnico-linguistiche del mio fare artistico, con la rivisitazione della pittura ad encausto o la tecnica della doratura a foglia, vertono proprio sul tempo del fare. Il tempo lento (slow per usare un anglicismo fortunato), del mio fare artistico è parte integrante della mia concezione dell’arte come forma di resistenza al non luogo che l’assoluto del quotidiano va configurando; è un processo lento che permette il riemergere di una memoria storica con la quale misurarsi per ritrovare il senso della pienezza e della complessità della vita. È un processo creativo che resiste alla velocità delle onde elettromagnetiche che permea i comportamenti quotidiani e porta all’inerzia del corpo e quindi della mente, che rischia di farci perdere la memoria del viaggio. L’uomo andava incontro all’evento spostandosi nel mondo; ora è l’evento che viene a lui. L’uomo non ha più bisogno di spostarsi, l’arrivo dell’evento ha soppiantato la partenza e il viaggio. Ritengo un dovere dell’arte resistere a tutto questo e portare all’evidenza del pensiero visuale la necessità di tali riflessioni. Mi riconosco in una accezione dell’arte come provocazione a pensare, un fare che sia in qualche modo un impegno a lavorare a vantaggio dell’intelligenza; un fare che si impegni a rispettarla e quindi a contenere e disciplinare l’arroganza del tono e la vacuità degli argomenti mediaticamente indotti che portano al collasso dell’estetica.

Ogni artista, credo, si ponga un pubblico, ma non inteso come insieme di persone che vedranno l’opera, ma, nell’accezione di Carmelo Bene, come momento espositivo – visivo della propria riflessione. Mi parla, brevemente, del suo pubblico?
Direi che bisognerebbe distinguere tra fruitore reale e fruitore implicito. Per necessità parliamo del secondo evitando di entrare nello specifico del sistema dell’arte che è ben altro rispetto alla ricerca artistica. Il fruitore implicito è colui che di fronte ad una mia opera, lascia sullo sfondo i fenomeni collettivi dell’assimilazione culturale e si concentra sulle modalità della percezione/lettura dell’opera come incontro-scontro con la novità del testo visivo. È colui che intende la fruizione dell’opera d’arte come processo: accetta cioè il rapporto con l’opera (ha già scelto del resto di porsi di fronte ad essa), attivando il proprio tempo di lettura ma anche il tempo teoricamente infinito della ricezione, che lo porterà a modificare la cornice (frame) di riferimento per superare i contrasti e le discontinuità.


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