IL LATO OSCURO DEL POP

di Giovanni Caiola / underdog1982@libero.it

Sicuramente due cose non mancano a Scott Walker: uno smisurato talento musicale e un invidiabile senso ironico. Del primo fan fede i dischi, in particolare quelli da solista. Del secondo invece sono illuminante testimonianza un paio d’episodi. Il primo: nel febbraio del 1965 si trasferisce, ventiduenne, con un paio d’amici dagli USA in quel di Londra per dare finalmente sfogo alla passione musicale che lo divora. Non ci sarebbe nulla di strano, se quel periodo non fosse passato alla storia del costume col nome di British Invasion: mentre le band inglesi conquistano i giovani statunitensi pallidi suonando in fondo la musica dei neri d’America – pochi nomi esemplari: Beatles, Rolling Stones, Who ed Animals – Walker fa il viaggio inverso e tenta, lui nativo dell’Ohio, di piantare la bandiera a stelle e strisce nella terra d’Albione. E ci riesce, eccome se ci riesce! I Walker Brothers (così si sono ribattezzati i tre amici, anche se nessun legame parentale intercorre fra loro) conquistano le classifiche inglesi con canzoni semplici semplici ma dal grande impatto emotivo, nulla di musicalmente trascendentale comunque. Anche il nostro Scott, dopo un paio d’anni passati a frequentare i piani alti delle classifiche, si stanca di tutta quella melassa buona per ragazzine infoiate e decide di abbandonare i “fratelli” e intraprendere una carriera da solista. Fulminanti gli inizi: tra il 1967 ed il 1969 pubblica cinque album e altrettanti ne manda nei negozi fra il ’70 ed il ’74. Se siete in vena di acquisti onerosi fate un pensierino al box 5 Easy Pieces per avere un’abbondante panoramica del Walker di questo periodo, se invece i soldi son quelli che sono (pochi, ça va sans dire) tentate quantomeno di recuperare Scott, Scott 2, Scott 3 e Scott 4, album che propongono splendide canzoni di pop esistenzialista modellate da sontuosi arrangiamenti d’archi e da una voce baritonale indimenticabile. Come uno Jacques Brel (non a caso numerosi suoi brani sono riproposti da Walker) improvvisamente scopertosi anglofono. Il successo però continua a calare impietosamente e così i discografici impongono la riunione dei Walker Brothers. Poco tempo e Walker lascia di nuovo, rifugiandosi in una totale solitudine dalla quale esce nel 1984 con Climate Of Hunter, un disco di pop scarnificato che lascia stupefatti e ammaliati. Ma è nulla rispetto a quel che deve venire. Undici anni di attesa e poi nel 1995 esce Tilt: è un disco stratosferico, di quelli che giustificano una vita; le canzoni si sono trasformate in profondi abissi di dolenti clangori orchestrali. Il seguito vedrà la luce solo nel 2006 – ancora undici anni d’intervallo e dopo aver risposto «ne morirà di gente nel frattempo» a chi gli chiedeva quando Tilt avrebbe avuto un successore (ed ecco il secondo esempio dell’ironia del Nostro) – ed è un altro capolavoro, più ritmico ed intitolato The Drift. Uneasy listening che più uneasy non si può, ma parafrasando l’Ecclesiaste: c’è un tempo per i Beach Boys ed uno per Scott Walker.


Commenti »

La URI per fare un TrackBack a questo articolo è: http://www.civetta.info/wp-login.php/wp-images/smilies/wp-content/wp-content/plugins/sexy-contact-form/includes/fileupload/wp-trackback.php/wp-trackback.php/wp-images/smilies/wp-trackback.php/845

Ancora nessun commento

feed RSS per i commenti a questo articolo.

Lascia un commento


Attenzione: i commenti compariranno sul sito previa approvazione del moderatore

Righe e paragrafi vanno a capo automaticamente, l’indirizzo e-mail non viene mostrato, HTML è permesso: <a href="" title="" rel=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <code> <em> <i> <strike> <strong>