L’ARTE DI ABDESLAM THAIRI
Che cos’è un atto di creazione? Mi sento di dire che questa è la domanda che perseguita e attanaglia gran parte delle culture umane. Come avviene, in altre parole, che qualcosa di colpo cominci ad esistere? Ci sono, da sempre, due vie per cercare di sviscerare tale quesito: l’arte e la religione. La filosofia non c’entra perché non si occupa - se è vera filosofia - di queste cose (ma sappiamo bene che pur di vendere ci si occupa di qualsiasi cosa e per questo siamo ormai quotidianamente acquistati e non acquistiamo più nulla in questa nostra “benedetta” società contemporanea). Spesso, tornando al nostro discorso, le due discipline si fondono dando vita ad una terza forma di riflessione/creazione che nulla ha che vedere con l’arte sacra e con la religione delle immagini (e si pensi al grande problema dell’iconoclastia per capire a cosa mi riferisco, a tal proposito mi sento di consigliarvi il recente Contro le immagini di Maria Bettetini, Laterza, e il sempre verde Le porte regali. Saggio sull’icona di Pavel Florenskij Pavel, Adelphi). Raro, invece, è chi riesce a compiere questo sforzo, o quanto meno chi intraprende questa strada piena zeppa di difficoltà, perché implica un’onestà e, soprattutto, una sana ingenuità (ma sarebbe meglio chiamarla verginità come amava scrivere nelle sue lettere il pittore Paul Cézanne) scevra da ogni forma di rappresentazione e, soprattutto, libera dalla volontà del dover esser. L’arte, su questo terreno, si gioca gran parte della sua vita, dagli albori ai giorni nostri. Abdeslam Thairi, pittore e creatore di immagini, è fra questi uomini di confine, là dove il sacro e l’immagine si fondono e creano nuove forme di vita. Ci siamo incontrati nella sua casa di Castiglione delle Stiviere, abbiamo parlato delle nostre vite (breve e protetta la mia, avventurosa, combattente e intensa la sua) e ho visto le sue tele. Avevo incontrato Abdeslam Thairi alla collettiva StonArte 2006 (Palazzo Menghini, settembre-ottobre ’06) e mi aveva colpito la sua pittura. Abdeslam Thairi lavora spesso su tavole di legno, con tempere e colori ad acqua. Un tratto deciso e marcato è la prima trama della sua arte, quasi volesse imprimere e render ben chiaro e visibile il segno potente del suo pensiero, perché il pensiero artistico di Thairi è straordinariamente potente e sostenuto da una forte convinzione pittorica. La sua arte nasce dal gesto che incontra la materia per diventare rappresentazione involontaria, nell’atto pittorico, del mondo dell’artista. Thairi pensa nel gesto e dà vita alle sue immagini nella materia. “Il mio gesto non è mai dettato da una precisa volontà, sono le forme che emergono, io le seguo, le lascio vivere e da questa vita mi faccio condurre”: dichiarazione d’intenti completa, ma anche linea retta di una poetica pittorica decisa. Eppure le sue tele grondano di significati, quasi ci fosse una precisa strategia comunicativa alla base del suo operare. Sappiamo bene che l’immagine è da sempre il veicolo principale della comunicazione, solo quando – sia ben chiaro – viene ridotta, dalla ricchezza e potenza che la anima, a ciò che già da sempre conosciamo. “Buongiorno Teeteto” come di-mostra Socrate al suo interlocutore. L’occhio (e la mente) vede solo ciò che ri-conosce, ciò che già conosce da tempo e per tempo, come quando salutiamo un amico (Buongiorno Teeteto, per l’appunto, Buongiorno Paolo ecc…). Salutiamo con il sorriso ciò che riconosciamo e ci difendiamo da ciò che non ri-conosciamo. Nella sua arte Thairi sceglie di incontrare le forme, eccedendo quindi la mera volontà creativa e rappresentativa, e da qui parte la sua riflessione che è sempre, dunque, seconda al gesto creativo puro in sé. Qui si genera un circolo vizioso nel quale già Pollock si era trovato imprigionato: il gesto può esser puro? il gesto, cioè, può esser libero da qualsivoglia forma di volontà? No, affermava il grande pittore americano, perché ogni mio fare è comunque già da sempre impostato. Sia che io parta dall’alto verso il basso, o viceversa, sia che io parta da sinistra a destra, o viceversa, sono sempre io che imprimo un volere, una decisione, al mio gesto. Sembra non esservi scampo. Io credo che sia posto in termini non corretti il problema. In mio soccorso corre De Musset e il suo Lorenzaccio (messo in scena e ri-pensato da Carmelo Bene), ma chiamo sul banco dei testimoni anche illustri sportivi come Cassius Clay, Maradona e John McEnroe. L’unico modo per uscire dall’impasse della volontà è il divenire: si tratta cioè di divenire nel gesto. Nel momento in cui siamo un gesto, in quel preciso momento, la nostra volontà non esiste perché è solo nel divenire che noi siamo senza esser noi stessi coscienti e presenti (proprio come accadeva a Lorenzino de’ Medici, consegnato alla storia come Lorenzaccio). Maradona non sapeva di esser Maradona nel momento in cui eseguiva un dribbling, Cassius Clay non sapeva di essere Clay quando inventava i suoi colpi: in quel momento era la box nel suo accadere. I grandi creatori, in qualsiasi disciplina, sono quella disciplina nell’istante del loro gesto. Per questo motivo nessuno è mai in grado di dire come ha eseguito quel gesto particolare. Solo divenendo (i propri gesti) si evita il cappio della volontà e il peso della razionalità come unica forma possibile di spiegazione della realtà. Abdeslam Thairi, mi diceva, stende il colore e comincia tracciare dei gesti senza alcuna precisa volontà rappresentativa. “È il segno che mi porta verso direzioni che io non avevo previsto e qui nascono le mie forme”. C’è una tela che mi ha particolarmente impressionato per la potenza di pensiero che contiene soprattutto alla luce di quanto affermato (la potete vedere qui sopra). “Sono i segni che mi hanno portato a quelle forme che sono però il mio pensiero”. Abdeslam Thairi è un uomo di forti convinzioni religiose, politiche e sociali; ha viaggiato, ha visto il mondo e si è adattato a vari lavori nonostante la sua formazione accademica. Il suo pensiero è frutto di ciò che ha vissuto (come dovrebbe essere per tutti noi…). È insito nelle sue mani e nei suoi occhi (gli organi del pittore) e da questi traspare al di là della volontarietà del gesto: ecco le sue tele, ecco il concentrato di simboli e significati che trascendono, senza staccarsi (come il lampo con il cielo nero), la volontà di comunicare. Abdeslam Thairi è geloso delle sue immagini, anche se non è possessivo ed è quindi disponibile a mostrare i suoi lavori, ma questa gelosia è il frutto di un pensiero potente che richiede ed esige un po’ di comprensione e, soprattutto, volontà d’ascolto e non superficialità, unica forma d’attenzione che sappiamo dedicare a ciò che non riconosciamo nell’immediato.I lavori di Abdeslam Thairi sono stati valutati dall’International Museum e l’anno prossimo parteciperà alla Quadriennale “Leonardo da Vinci” dove è stato ammesso con una tela che è un concentrato di quanto sin qui raccontato. Le foto che pubblichiamo sul giornale non rendono giustizia alla sua arte, fatta di colore e materia (la sostanza del mondo).
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