INTERVISTA A MICHELE MARI


La Civetta è lieta di intervistare l’ultimo dei nuovi talenti immergenti della canzone d’autore, il voltese Michele Mari, classico cantastorie tutto chitarra, barba e bocce di vino. Potete ascoltare le sue canzoni e insultarlo sul sito www.lattadelbardo.splinder.com.

Partiamo con le indicazioni biografiche…
Sono nato a Mantova poco più di ventun anni fa. Vivo tra Volta Mantovana e Bologna, dove frequento la facoltà di Lettere. Per diletto, essenzialmente scrivo. Frequento tre modi di scrittura: prosa, poesia e canzone. Quella più rilevante, quella con la quale perdo più tempo, è la canzone: la ritengo un linguaggio espressivo che mi appartiene. Mi accompagno con la chitarra e l’armonica a bocca, come vuole la tradizione folk. Il mio genere di canzone si riallaccia alla tradizione cantautorale italiana, francese e americana.

Cosa sono le tue canzoni?
La canzone è un momento proprio ed ha senso quando assume un significato anche per gli altri; c’è quindi necessariamente dietro un lavoro. Un mio amico dice che il mondo è a pezzi, e bisogna andare in giro con un taccuino, perché magari un pezzo è buono, allora te lo appunti.
È un po’ la mia teoria: uno sente o si inventa un giro di accordi, legge una poesia o un romanzo, gli succede qualcosa, e la canzone magari nasce già da sola: si prendono due note di qua, due di là, quattro parole a destra, sei a sinistra e si mischia. Si aggiunge il trait-d’union che tenga assieme tutto, qualche verso di quelli che saltano fuori mentre fai la doccia o cammini o mangi: poi si soffia nell’armonica la melodia, perché così faceva Bob Dylan, e sulla chitarra si diteggia qualcosa che ti gira in testa. I casi sono due: o nasce una schifezza o una canzone. Io fino ad oggi ho scritto centoventitré schifezze e una ventina di canzoni: parlano di me o di cose meno importanti, delle nostalgie, dei treni e dei rinoceronti. Non scardinano nessuna porta: si infiltrano di sottecchi nel solco scavato da Guccini, Cohen, Dylan, Vecchioni e compagnia cantante.

Ovvero?
Cerco di sfruttare e fare mio, sintetizzando, il linguaggio che loro hanno creato. Niente nasce dal nulla, ma la tradizione folk impone una continua modifica su dei canoni. L’originalità sta nel creare qualcosa di personale e riconoscibile. Inoltre cerco di farmi forte dei miei difetti, cioè che non sono un musicista né un cantante, e cercare nella semplicità una forza particolare.

Come i tuoi “maestri”, anche per te il testo ha una certa importanza…
Porca boia! Una canzone è fatta da una costruzione assonante di musica e testo. La musica deve avere una logica, basata sul testo. Il testo è la parte che costruisce il significato e deve avere uno spessore. Può parlare di tutto, ma stando a delle regole, regole di struttura. Si sente subito quando qualcosa in un testo è fuori luogo, perché la canzone, a differenza della poesia, passa direttamente dall’interpretazione di chi la canta, per cui non c’è un filtro tra cantante e ascoltatore: il rapporto è diretto, senza rifugi di sorta. Quando una metafora è zoppa, crolla tutto.

Molti testi traggono ispirazione, o comunque hanno un legame, col tuo territorio…
Sì, è una questione di affezione. Se uno non odia il luogo dove è nato, questo ritorna.
È il luogo dell’esistenza, dove ogni angolo è carico di significato. Non può essere lasciato da parte.

Quale è stato il tuo percorso?
Ho cominciato a scrivere canzoni al liceo, ma non avendo ancora avuto un contatto profondo con la poesia, scrivevo composizioni goffe, che comunque ritengo necessari esperimenti. Poi, stando a contatto con letteratura, canzoni e nuovi autori, ho lavorato e migliorato, per quanto mi è stato possibile. Ho scritto la prima canzone nel 2002, e poi lo facevo come passatempo, tanto che nei primi anni ho prodotto tantissimo, ne scrivevo anche dieci al mese. Ma oggi di quelle passerebbe la mia stessa selezione una piccolissima parte, diciamo quattro o cinque, su circa centoventi. Ora ho cambiato metodi e tempi, e scrivo al bisogno, limando il più possibile.

Chi volesse conoscere le tue canzoni?
Basta che vada sul sito www.lattadelbardo.splinder.com. Le mie canzoni sono tutte ascoltabili e scaricabili liberamente. Ci sono i testi, gli accordi e anche altre povere cose che ho scritto.

Non è che poi denunci chi scarica …
Le mie canzoni non sono protette da diritti. Non potrei denuciare nessuno neanche se me le rubassero. Ritengo antidiluviana la politica della SIAE (Società Italiana Autori e Editori n.d.r) che, oltre a impedire la libera circolazione dell’arte, ha sostituito l’esame da compositore, che costava poco, con un’iscrizione troppo onerosa e un altrettanto odiosa gabella annuale. Chiunque voglia sfruttare le mie canzoni può farlo, stando alla licenza Creative Commons, che ho adottato.

Ci salutiamo con una tua citazione?
No, mettiamo una citazione altrui. Io non ho scritto aforismi. Concludo con l’epitaffio che un certo Kristofferson si è già scelto citando Leonard Cohen “Like a bird on the wire, like a drunk in a midnight choir, I have tried in my way to be free.” (Come un uccello su un cavo, come un ubriaco in un coro di mezzanotte, ho provato a modo mio ad essere libero.)


Commenti »

La URI per fare un TrackBack a questo articolo è: http://www.civetta.info/wp-login.php/wp-images/smilies/wp-content/plugins/wp-trackback.php/wp-trackback.php/1077

Ancora nessun commento

feed RSS per i commenti a questo articolo.

Lascia un commento


Attenzione: i commenti compariranno sul sito previa approvazione del moderatore

Righe e paragrafi vanno a capo automaticamente, l’indirizzo e-mail non viene mostrato, HTML è permesso: <a href="" title="" rel=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <code> <em> <i> <strike> <strong>