LA VITALISTICA DANZA DIONISIACA DI HERMANN NITSCH

di Fabrizio Migliorati

Fa piacere sapere che ci sia una mostra di Hermann Nitsch. Fa piacere perché rare sono le possibilità di vedere monografiche di così alto livello. E questa è un’occasione imperdibile. Nitsch è uno dei padri fondatori dell’Azionismo Viennese (insieme a Günter Brus, Otto Muehl, Arnulf Rainer e Rudolf Schwarzkogler) e la sua esposizione alla galleria Boxart di Verona (fino al 30 novembre, via dei Mutilati 7/a) rappresenta uno degli eventi più interessanti di questa fine dell’anno. Non è sicuramente un mostra facile e rassicurante quella che viene proposta ma, proprio per questo motivo, diventa ancora più interessante e stimolante. Su due piani sono collocate le opere inerenti sia alla poetica della performance (video, foto e abiti) che della pittura. Nitsch è un grande amante dell’Informale, soprattutto nella declinazione dell’action painting. È in quella danza coloristica, compositiva e processuale che l’artista austriaco riconosce i germi del suo fare artistico, in particolar modo nella sua componente dionisiaca-dinamica che egli assume ed è in grado di farla esplodere (insieme ai colleghi viennesi). L’azione non è più ricostruita dalla sindone della tela che abbiamo di fronte, ma è nella formula tautologia “l’azione è azione”. Ed ecco quindi la performance come atto supremo di dinamismo (in mostra è possibile vedere il video della 122, Aktion la grandiosa impresa che ha avuto luogo nel 2005 al Burgtheater di Vienna). Il video è estremo poiché l’artista è estremo. Nell’immenso panorama di significati che può assumere il termine performance, in Nitsch esso si incarica di portare il vessillo della crudezza senza mediazioni. Il corpo qui non si rappresenta soltanto, ma è attraversato simbolicamente e non, da correnti materiche, spirituali, artistiche e archetipiche. Nitsch non rimane in superficie ma entra violentemente nei corpi, liberando quindi il sadomasochismo e le nostre pulsioni primigenie. L’intervento non è mediato: sono veri i corpi degli attori, è vera la carne degli animali squartati, è vero il sangue che scorre ovunque. Nitsch infrange il ruolo mediale delle parole, delle immagini di seconda mano, per proiettarsi direttamente nella rappresentazione diretta, dal vivo, di riti arcaici, simbolici. Uomini e donne crocifissi, solcati da rivoli di sangue vengono portati in processione, per poi calarsi in stretto contatto con le viscere degli animali. Non c’è blasfemia, ma piuttosto un recupero mitico, sincretico, liberatorio delle origine umane. Come afferma il curatore Danilo Eccher nel catalogo “la verità di Nitsch è una verità partorita dalla ragione ma generata dalla fede, che affonda le proprie radici nelle viscere di una naturalità spietatamente ed eroticamente corporale ma sa anche alzare lo sguardo nelle più lucide trasparenze di una spiritualità silenziosa e appartata”. Scandalizzarsi di quei corpi vuol dire scandalizzarsi di noi stessi. Ed è per questo che il lavoro dell’artista viennese non è denigrazione dell’uomo e del mondo, ma un grande inno alla vita.


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