ALEXANDRA BOULAT - (1962-2007)

di Eliseo Barbàra

Di Alexandra Boulat conoscevo qualche fotografia apparsa su alcuni magazine oppure su internet finché, a Milano, la galleria dell’agenzia fotografica Grazia Neri ospita una personale della fotografa francese intitolata Modest. Donne in Medio Oriente. È stata un’occasione per conoscere parte del lavoro della giovane fotografa concentrato sulla condizione della donna nel mondo islamico con gli occhi – mai distaccati e mai cinici – di una donna parigina e cosmopolita. Una piccola mostra suggestiva e non modesta che non mi ha lasciato indifferente. Qualche giorno dopo leggo della prematura morte della Boulat. Un aneurisma cerebrale l’aveva colpita nel giugno scorso mentre lavorava a Ramallah. Ricoverata in ospedale, è stata dichiarata in stato di coma subito dopo le prime operazioni. Dopo, il trasferimento a casa nella sua Parigi e infine un’emorragia cerebrale ha portato via Alexandra Boulat all’età di 45 anni. Figlia di Pierre, fotografo di Life, e di Anne, fondatrice dell’agenzia Cosmos, Alexandra indirizza la sua prima formazione verso gli studi di storia dell’arte e di grafica, ma subito dopo capisce che la sua strada, sulle orme dei genitori, deve essere la fotografia. Cominciano le prime commissioni, i primi viaggi e i primi confronti e arrivano anche i premi importanti. Nel 2001 è co-fondatrice di un collettivo di fotografi che dà vita alla straordinaria VII Agency, un’agenzia fotografica indipendente dall’altissimo livello di preparazione, intuito, coraggio, dei fotografi come James Nachtwey e Christopher Morris. Appunto coraggio, intuito ma anche entusismo, creatività, passione e partecipazione sono elementi presenti nelle fotografie della Boulat. Caratteristiche che le hanno permesso di vedere le proprie immagini sulle copertine di magazine quali Time, Newsweek, National Geographic e Paris Match. Oltre alla condizione femminile nel mondo islamico, Alexandra Boulat è stata presente e in prima linea nel raccontarci le piccole e apparentemente insignificanti storie quotidiane di bambini, donne e uomini immersi in incomprensibili e assurdamente a noi lontane grandi storie di guerre, persecuzioni, migrazioni forzate e intolleranza nel gioco-forza tra la vittima debole con i suoi occhi, le sue mani, i suoi figli e la sua vita e l’impalpabile incombenza di chi esercita un cieco potere contro le vittime innocenti. Nelle immagini della Boulat l’occhio è sempre sulla vittima, chi esercita il potere e la forza non è che non importa ma è molto più importante, per la fotografa, mostrare gli occhi della sofferenza per denunciare la cecità degli aguzzini e, in parte, la nostra. Nella sua breve e intensa carriera la Boulat ha ritratto questi tristi e coraggiosi occhi nelle terre della ex Jugoslavia, nei territori divisi tra israeliani e palestinesi, in Iraq e nell’Afghanistan dei Talebani. I familiari hanno subito fatto sapere che nascerà una Fondazione Boulat che porterà avanti i sogni e gli ideali della giovane e dolce Alexandra.


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