PRIMAVERA/05


“Spezzarti, per portarti via / sarebbe troppo doloroso / o fior di ciliegio: / piuttosto sotto i tuoi petali rosa / starò ad ammirarti / fino al tuo appassire” (Liriche giapponesi). La stagione della primavera germina senza folgorazioni, dopo una lenta e silenziosa fioritura. Allo stesso modo, anche la primavera pittorica può sbocciare come sonorità del colore, traboccante di vita per terremotate i sensi. In questo turbinio miracoloso, l’occhio dell’artista sorge dal piano di una tela come quello del Ciclope di Redon, bulbo ruotante che non guarda la realtà contingente ma la visione che vi si compone. Essa non è data solo da ciò che vede, ma anche da ciò che pensa, dall’emozione dello sguardo. Perché l’occhio non vede tutto, ma tutto (almeno per il pittore) fa centro nell’occhio, il quale ha un ricordo, un desiderio, una volontà, una lode, una regola e un’infrazione a questa; o altro ancora, naturalmente. Quando la pittura diventa primavera, non trasmette più una visione ma una creazione che esce dalla spartizione orizzontale del mondo. Recupera la levità del volto sulle cose e sugli uomini. E’ lì per amore. E’ un ritorno stagionale che ribadisce la necessità del contatto con le ragioni della vita e della fiaba. Quando la pittura si riappropria della tela, si fa intensa e vibrante. Le cose intorno a lei iniziano a parlarle e le mostrano il percorso da seguire. Ed è allora che essa allarga il proprio respiro; senza allarmarsi per non essere più, o soltanto, giardino comunale ma parco universale. E’ così: la primavera pittorica emana profumi dilatati, apre finestre su larghi orizzonti emozionati. Si allontana dallo scorcio, sa osare l’ampiezza dello slargo, manda a pezzi la banalità quotidiana, i manuali delle biblioteche, le ridondanze dei botanici. Lo stupore è la sua essenza, la verità tutta contenuta in un nuovo colore. Sa sfumarsi la pittura di primavera. Perché non è forma compiuta, ma presagio di ciò che sta per nascere. Non per distruggere ma per aggiungere un segno al groviglio armonico delle setole con cui è stata composta. Nello scarto tra la rappresentazione già data, e la registrazione dell’accadere, appaiono delle immagini inaspettate e misteriose. Come quelle di Davide Coltro, in mostra sino all’8 maggio a Villa Poma/Mantova. Fotografie pittoriche che “pur muovendo da un’adesione alla realtà di schiettezza disarmante, conducono verso un ambito di surrealtà”. Con chiarori di luna che emergono dal buio. Simili ai miti arcaici o alle stagioni di bellezza e rinnovamento. Antichi e pur sempre diversi.


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