LO STRAZIANTE AMORE DEI JOY DIVISION

di Giovanni Caiola


Contrariamente a quanto si può oggi pensare il fenomeno musicale denominato new-wave è stato, per non pochi anni, quasi completamente dimenticato dalla maggior parte degli ascoltatori rock. È stata soprattutto la scena elettronica a tener viva la fiamma attizzata, tra la fine dei ’70 e l’inizio del decennio successivo, da una folla di fervide menti sperimentatrici su entrambe le sponde dell’Atlantico. Da qualche tempo però si sono nuovamente accesi i riflettori su quella splendida e feconda esperienza musicale, tanto che oggi sono moltissime le band di tutto il mondo che si rifanno a quei suoni. Ma non su tutti i gruppi di quel periodo era scesa una patina d’oblio: no, i Joy Division han continuato in tutti questi anni – pur se magari in modo sotterraneo – a spezzare i cuori degli ascoltatori. La voce ieratica, nervosa ed altera di Ian Curtis non ha mai smesso di parlare all’anima di coloro che si accostavano a due fra i dischi più belli dell’intera epopea new-wave. La stessa figura del povero Ian – sorta di Jim Morrison suburbano suicidatosi giovanissimo – ha aiutato notevolmente l’accrescersi dell’alone mitico che circonda il gruppo. Formatisi nel 1977 come Warsaw i Nostri – Ian Curtis alla voce, Bernard Sumner alla chitarra, Peter Hook al basso e Steven Morris alla batteria; tutti nativi di Manchester e dintorni –, dopo una serie di singoli ed ep, variano la ragione sociale assumendone una carica di memorie e lorda di sangue: Joy Division. Ed è così che giungono, nel giugno del 1979, al debutto sulla lunga distanza dell’lp. Fasciato da una memorabile copertina raffigurante, attraverso una spettrografia su sfondo nero, il canto di una stella morente Unknown Pleasures è un disco che riesce nell’impresa di aggiornare l’oscuro e malevolo suono dei Velvet Underground all’epoca del punk. I bellissimi testi di Curtis sono sostenuti da una ritmica implacabile e glaciale, mentre la chitarra distribuisce con parsimonia squarci di malevola melodia: brani come She’s Lost Control (che parla dell’epilessia, malattia di cui Ian soffriva), Day Of The Lords, Insight e New Dawn Fades sono perle di oscura bellezza difficili da scordare. Dopo un paio di ottimi singoli (oggi tutti facilmente rintracciabili nelle varie raccolte immesse sul mercato) esce nel 1980 Closer. Ma la tragedia è a questo punto già avvenuta: il 17 maggio di quello stesso anno Ian Curtis s’è impiccato a nemmeno ventiquattro anni. Per approfondire le cause di questo gesto vi consiglio di leggere Così vicino, così lontano la biografia scritta da Deborah Curtis, la moglie di Ian, ed edita dalla Giunti. Su Closer aggiungo che pochi dischi rock possono competere con questo in quanto ad intensità e pura bellezza. Un capolavoro senza mezzi termini! Esce postumo pure il singolo Love Will Tear Us Apart, una delle canzoni d’amore più toccanti di sempre; poi i tre superstiti cambiano nome e come New Order daranno vita ad altre intriganti storie, anche se forse non decisive come quella qui raccontata.


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