INCONTRO CON GIORELLO

di Luigi Chesini

Giulio Giorello è nato a Milano nel 1945, laureato in filosofia nel ’68 e in matematica nel ’71, allievo di Ludovico Geymonat, ha insegnato nelle università di Pavia, Milano, Catania. Attualmente è ordinario della cattedra di Filosofia della Scienza alla Statale di Milano. Al termine degli incontri dedicati a Einstein, durante Mosaicoscienze edizione 2005, abbiamo avvicinato il professore e gli abbiamo rivolto alcune domande, che spaziassero il più possibile, per sentire un parere su alcune questioni emerse durante la sua conferenza tenuta presso il Teatro Sociale di Castiglione delle Stiviere, ma anche sull’attualità della politica e della società.

È strano che un concetto come l’etere, nonostante tutte le evidenze contrarie, fosse testardamente mantenuto da gran parte della comunità dei fisici nel secondo ‘800, mentre la teoria atomica fosse considerata solo un utile strumento di calcolo.
Con la teoria della gravitazione universale di Newton, la gravità era stata elaborata come un’azione istantanea e a distanza, quasi una magia. I cartesiani, e in particolare Leibniz, la concepivano in modo diverso, ammettevano che potessero esistere solo azioni per contatto. Lo stesso Newton era molto combattuto, se si ammetteva l’esistenza di un etere esso poteva funzionare come supporto per trasmettere l’azione non a distanza, ma tramite un mezzo, come il mare trasmette il moto delle onde. S’ipotizzò addirittura l’esistenza di vari tipi di eteri, quali il luminifero, il gravitazionale. Per le possibilità di indagine dell’800 gli atomi come entità reali non erano ritenuti indispensabili. Posizione sostenuta anche da Ernst Mach nel suo La meccanica nel suo sviluppo storico. L’articolo di Einstein sui moti Browniani aiutò a spazzare via i dubbi residui sulla consistenza reale degli atomi e molecole. Tutto è spiegato molto bene nel libro di Silvio Bergia su Einstein, della collana I grandi della scienza.

Nel dibattito scientifico-biologico attuale in Italia, vede un’ingerenza crescente di un certo clericalismo?
Io penso che la chiesa non abbia ancora fatto i conti con Darwin e con alcune conseguenze della sua teoria dell’evoluzione. Giovanni Paolo II l’ha definita “un’ipotesi accettabile”. Pure secondo molti biologi attuali, come Richard Dawkins e Stephen Jay Gould, alcune evoluzioni non sono di tipo darwiniano. In ogni caso, la rivalutazione dei religiosi della teoria dello scienziato inglese è ambigua. La considerano un programma di ricerca da guardare con sospetto. Molto ha contribuito anche la sinistra fama che porta con sé il darwinismo sociale. Colle successive scoperte del DNA e con una sorta di meccanicismo biologico che ne poteva derivare, la chiesa vide una minaccia verso le sue idee sulla vita. Il timore clericaloide ha coinvolto anche testate come Il Foglio, strumento di certi atei devoti che hanno criticato il recente libro di Boncinelli e Sciarretta Verso l’immortalità?. La possibilità che si sposti il punto di vista sulla vita e sulla morte ha scatenato alcune reazioni quasi isteriche.

Secondo lei la fede condiziona, pone dei limiti alla ricerca scientifica, e, in caso affermativo, in che modo?
Io non lo so se la fede porti limiti alla ricerca scientifica. Ci sono scienziati credenti, ci sono scienziati non credenti, ci sono atei, ci sono agnostici, ci sono cristiani, musulmani, eccetera. È vera una cosa, che, quando l’istituzione ecclesiastica è diventata un potere, in alcuni contesti questo potere ha, di fatto, ostacolato la crescita della scoperta scientifica. Questo soprattutto nella nostra storia. Noi conosciamo il grande scontro, per esempio, sulle ipotesi che stanno alla base dei meccanismi del nostro universo, e sappiamo benissimo che Galileo Galilei fu condannato, nel 1633 nonostante fosse uomo di fede.

Einstein fu religioso a suo modo, ma come conciliava la fede con il suo assegnamento nella scienza?
Pur non negando mai le sue origini ebraiche, la fede di Einstein era simile a un panteismo di tipo spinoziano. Egli era profondamente convinto dell’intelligibilità del mondo. Celebre è la sua frase relativa alla parziale capacità di comprendere la natura da parte dell’intelligenza. Da qui deriva anche il suo scetticismo verso alcuni esiti della teoria quantistica e la visione probabilistica della realtà che essa recava.

Lei è concorde con Deleuze, che filosofia arte e scienza sono modi diversi del pensiero, che possano convivere e non competere?
Sì, io non sono molto dell’idea che la scienza abbia un privilegio rispetto ad altre discipline. Ciascuno si esprime con le proprie forme preferite, come diceva Popper, non ci si innamora dei metodi, ma dei problemi. Non è mancata, durante la conferenza, qualche nota polemica con l’ex collega (accademico) e attuale Presidente della Camera Marcello Pera e per i vertici episcopali italiani. Alcuni lo hanno definito ‘un campione del laicismo’, anche per il suo recente testo Di Nessuna Chiesa (Raffaello Cortina Editore), sicuramente è una delle menti più lucide del panorama intellettuale del Bel Paese.


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