UOMINI PICCOLI,
LA GUERRA E
L’ALTERNATIVA NONVIOLENTA

di Claudio Morselli

Qualcuno ha scritto che il linguaggio della politica è sempre più simile a quello dei comici e Roberto Benigni, che di queste cose se ne intende, non per niente aveva invitato Berlusconi a fare un giro da Celentano, a RockPolitik, perché potesse esprimere tutta la carica di comicità che il nostro Presidente del Consiglio si porta addosso e che in tante occasioni aveva già dimostrato di possedere, senza per questo aver dovuto dismettere gli abiti del politico e del presunto grande statista per indossare quelli del clown. In questi ultimi giorni, però, Silvio Berlusconi, ha superato se stesso. In quarantott’ore ha infilato due performances magistrali che lo collocano ai massimi livelli, e senza confronto alcuno, nell’olimpo della comicità mondiale, esempio insuperabile di politica-avanspettacolo, nonché caso unico al mondo per un capo del governo. La prima performance l’ha realizzata con un’intervista a La7 nella quale ha rivelato che lui – il più fedele e devoto alleato degli Stati Uniti; lui, che ha mandato i soldati italiani a morire a Nassiriya – era invece contrario alla guerra in Iraq e aveva cercato invano di convincere Bush e Blair ad evitare il conflitto armato. Due giorni dopo, a Washington, di fronte a Bush, ha sostenuto, naturalmente, che “l’Italia è orgogliosa di poter essere accanto all’alleato americano nell’estendere le frontiere di libertà”. La seconda performance è stata giocata a Washington, in due tempi, nel giro di poche ore. Prima ha annunciato che “il governo americano teme un cambio della guida in Italia, perché è cosciente del progetto della sinistra per l’Iraq”. Poi, di fronte alla smentita americana, ha dovuto ammettere che in effetti quelle parole Bush non le ha mai dette e che si trattava solo di sue deduzioni, come “uno più uno fa due”! Il tutto è stato condito, come al solito, da accuse velenose nei confronti della “sinistra” e di chi gli ha fatto rilevare l’incoerenza delle sue dichiarazioni: “Professionisti della menzogna, della cialtronaggine e delle offese”.

Purtroppo siamo messi così. Qualcuno si lamenta perché in politica non ci sono più i grandi uomini, ma è molto peggio quando ti capitano gli uomini piccoli, e a noi, purtroppo, è capitato proprio un uomo piccolo piccolo, che sta portando l’Italia al disastro e ci rende ridicoli di fronte al mondo. Errare humanum est, e da nessuno si può pretendere perfezione e infallibilità, tanto meno da una classe dirigente, la cui affidabilità si misura invece, oltre che dai contenuti dell’azione di governo, dall’onestà politica e dalla capacità di riconoscere i propri errori. Sulla guerra in Iraq, dopo l’accertamento delle menzogne sulle armi di Saddam, di fronte allo scandalo che sta scuotendo la Casa Bianca per le false prove usate per giustificare l’intervento militare e di fronte agli effetti devastanti prodotti dalla guerra, si imporrebbe un minimo di riflessione da parte di chi ha voluto la guerra. E invece si continua, imperterriti, a sostenere la logica manichea di Bush, secondo la quale chi non è d’accordo con la sua politica è antiamericano e difende o aiuta i terroristi. E si pensa di estendere, magari all’Iran, la sciagurata dottrina della guerra preventiva, che non solo non serve ma danneggia la lotta al terrorismo (è benzina gettata sul fuoco) e può destabilizzare l’intero sistema delle relazioni internazionali, moltiplicando le aree di conflitto e creando una situazione di instabilità permanente a livello globale. E’ un dato di fatto che la guerra in Iraq ha rafforzato paurosamente il terrorismo, che in Iraq è diventato una vera e propria fabbrica di morte, avendo potuto edificare un micidiale centro operativo mondiale di reclutamento e di addestramento, godendo oltretutto di un’esposizione mediatica impagabile. Il terrorismo potrebbe invece essere neutralizzato, o quanto meno fortemente ridimensionato, intervenendo per esempio, a monte, sul circolo finanziario che lo alimenta, un fiume immenso di denaro concentrato prevalentemente nei paradisi fiscali, dove l’anonimato e il segreto bancario garantiscono l’impunità del suo utilizzo criminale. Ma, come si sa, il denaro è sacro – anche quello dei terroristi – e non si tocca.

Sono convinto, inoltre, che una riflessione sulla guerra debba essere fatta, a 365 gradi, anche nel centro-sinistra, partendo da un esame autocritico della guerra “umanitaria” del Kosovo e di quanto si poteva fare, e non è stato fatto, per costruire soluzioni alternative alla guerra. Ci accorgeremmo, allora, che la nonviolenza è l’unica strada percorribile, se non vogliamo che la dottrina della guerra ci porti alla distruzione del pianeta. E cominceremmo, allora, ad esempio, a distinguere tra guerra e intervento armato, tra esercito e polizia internazionale. Mao Valpiana, leader del Movimento Nonviolento, ci ricorda, con grande lucidità, che “i nonviolenti sono sempre stati favorevoli alla legge e alla polizia, due istituzioni che servono a garantire i deboli dai soprusi dei violenti. E’ per questo che da anni sono impegnati, a partire dalle iniziative europee di Alexander Langer, sia sul fronte del diritto e dei Tribunali Internazionali, sia per l’istituzione di Corpi Civili di Pace. Da sempre i nonviolenti chiedono la diminuzione dei bilanci militari e il sostegno finanziario alla creazione di una Polizia Internazionale, anche armata, che intervenga nei conflitti a tutela delle parti lese, per disarmare l’aggressore e ristabilire il diritto. Insomma, bisogna lavorare prima per prevenire il conflitto armato, innanzitutto abolendo gli eserciti e dotandosi invece degli strumenti efficaci per fermare chi la guerra la vuole fare comunque”. Un’alternativa nonviolenta è possibile. Vogliamo cominciare a discuterne?