GOOD NIGHT, AND GOOD LUCK

di Ilaria Feole

“Al momento attuale siamo tutti grassi, benestanti, compiaciuti e compiacenti. C’è un’allergia insita in noi, alle notizie spiacevoli o disturbanti. E i nostri mass media riflettono questa tendenza. Ma se non decidiamo di scrollarci di dosso l’abbondanza, e non riconosciamo che la televisione soprattutto viene utilizzata per distrarci, ingannarci, divertirci, e isolarci, chi la finanzia, chi la guarda e chi ci lavora, si renderà conto di questa realtà quando ormai sarà troppo tardi per rimediare”. Un discorso che suona drammaticamente attuale e che verrebbe spontaneo riferire alla televisione dei nostri giorni; salvo scoprire che queste parole sono state pronunciate dal giornalista televisivo Edward Murrow nel 1958, e sono le parole con cui si apre Good night, and good luck, opera seconda di George Clooney come regista. Il film è ambientato nel mondo del giornalismo d’inchiesta e si concentra sulla figura di Edward Murrow, un anchorman realmente esistito che negli anni ’50 si ribellò contro la devastante “caccia alle streghe” operata dal senatore Joseph McCarthy, il quale, a capo del Sottocomitato per le Investigazioni, diffondeva la paura e limitava pesantemente la libertà d’espressione facendo piazza pulita di chiunque fosse sospettato di essere comunista o simpatizzante. Murrow, che conduceva sulla Cbs il notiziario d’approfondimento See It Now, dedicò un’intera puntata al senatore, mettendo in luce le sue contraddizioni e le sue accuse spesso infondate. Fu l’inizio della fine per McCarthy, che venne processato e censurato dal senato; ma anche Murrow pagò, subendo un “ridimensionamento” dei suoi spazi giornalistici. Good night, and good luck è un’ottima ricostruzione d’epoca, corredata da immagini di repertorio (McCarthy non è stato interpretato da un attore, ma appare solo nei filmati dell’epoca); ma anche, palesemente e per ammissione dello stesso Clooney, un film che vuole parlare dell’America di oggi, della attuale strumentalizzazione dei media e dei rischi che corrono i diritti civili sotto l’amministrazione Bush. In questo senso il monito che Murrow, in apertura del film, rivolge ai futuri spettatori e autori televisivi, suona come un grido d’allarme per gli attuali spettatori e autori (non solo americani; è interessante la concomitanza dell’uscita di questo film col nostrano documentario sulla censura Viva Zapatero, e la visione di entrambi suscita più di una riflessione). Oltre a distinguersi per un contenuto fortemente attuale, il film si presenta come un’opera ben diretta da Clooney (che l’ha anche sceneggiato, insieme a Grant Heslov; i due hanno vinto l’Osella per la miglior sceneggiatura all’ultima Mostra di Venezia) e soprattutto interpretata da un eccellente David Strathairn (giustamente vincitore della Coppa Volpi) nel ruolo di Murrow: magnetico e di poche parole, una sigaretta perennemente tra le dita, fotografato in un bellissimo e contrastato bianco e nero, sembra un alter ego del protagonista de L’uomo che non c’era dei fratelli Coen. Un uomo che c’era, in questo caso, e che aveva intuito, mezzo secolo fa, che la televisione è un mezzo potente, “che può insegnare e illuminare. Ma può farlo solo ed esclusivamente se l’essere umano deciderà di utilizzarlo per questi scopi. Altrimenti, non è che un ammasso di fili elettrici e valvole in una scatola”.


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