ENOS RIZZI: L’INDAGATORE DEI CONFINI

di Fabrizio Migliorati

Dal 20 maggio al 18 giugno, la Torre Civica di Medole ha ospitato una selezione di dipinti del biennio 2004-2005 dell’artista castiglionese Enos Rizzi. La mostra, intitolata Davanti alle colline: segno - colore – poesia, è il risultato di un discorso già da diverso tempo nella faretra del Nostro. Le colline moreniche non sono risparmiate dalla potente reinterpretazione personale: esse vedono, nello snodarsi del percorso espositivo, perdere i propri connotati, snaturarsi, ed è da questa liberazione che esse possono partire per esplorare nuovi territori, che rimarrebbero altrimenti sconosciuti a causa del troppo stretto legame territoriale. In questi lavori possiamo percepire i profumi del Chiarismo o di quella situazione artistica, così cara a Francesco Arcangeli, che va sotto il nome di Ultimo naturalismo. Certo, queste non sono altro che matrici ideali che possiamo vedere senza aprire gli occhi. Sono questi momenti di natura ultima che pongono un complicato problema: figurativismo o astrazione? La naturale tridimensionalità visiva viene asciugata dalla proprie peculiarità per giungere, in alcuni dipinti, ad un’atmosfera fortemente astraente, dove compaiono solo possenti fendenti di colore puro. Mondate dal più in eccesso, le opere ci consegnano sindoni visive essenzializzate e, tutto ciò, avviene senza la perdita del contatto con la realtà. L’astrazione di Rizzi nasce dall’osservazione delle cose della natura, eseguita da vicino. È questa innocente perversione visiva la causa delle sue nature essenziali, semplificate, ultime. Una natura ultima sul confine con l’informe. Ma è il relazionarsi diretto con la realtà che impedisce il salto all’artista, consegnandolo a noi come indagatore dei confini. Le due ampie sale dedicate a Rizzi, sono inondate da un verde onnipresente ma non totalizzante. Le infinite sfumature, pongono il monocromatismo in secondo piano: i colori delle stagioni, il patchwork visivo tipico delle campagne, le luci e le ombre, offrono una serie di variazioni e microvariazioni analoghe all’impianto operativo dell’immenso Giorgio Morandi. Nell’intricata trama di segni, si percepisce un afflato naturalistico colmo di inquietudine e di incertezza, come se, sotto la superficie, vegetasse una forza dormiente, simile ad un vulcano in stato di quiescenza, ma pronta ad esplodere rovesciando su di noi la materia primigenia custodita nelle viscere della terra. Ma, come recita un suo dipinto, All’improvviso la quiete, il candido manto di azzeramento rumoristico, blocca tutto per un nuovo momento di riflessione. La quiete dopo la tempesta. Ma la poesia non termina qui. I titoli sono potentemente evocativi e intimamente legati alle immagini: la perfetta sintesi è il raffinato libro d’artista del 2004, Davanti alle colline, esposto al primo piano. Una menzione particolare merita il catalogo (distribuito gratuitamente in mostra): più di 60 pagine con molte riproduzioni e i saggi del direttore del museo, Giovanni Magnani, e del prof. Manlio Paganella.


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