WHO? WE TOMORROW…

di Eliseo Barbāra

Parole d’amore firmate Pablo Neruda. Immagini non sempre colme d’amore nei dipinti e nelle fotografie di Silvia Rizzardi. L’artista monteclarense, classe 82, ha presentato sue recenti opere nella personale dal titolo Who? We Tomorrow… Blu. Rosso. Ancora blu e rosso. Bianco e sprazzi di nero. Colori intensi mai mescolati e racchiusi da delicate e sinuose forme che indagano particolari e insiemi del corpo femminile. Il tema ricorrente nell’opera di Silvia è appunto la donna, anzi lei in quanto donna, le forme, i pensieri, le emozioni, le paure e le curiosità femminili. Nessuna intenzione di presentare generalizzazioni e dichiarazioni (post)femministe, ma solo presentare se stessa come artista e donna. Come la stessa Silvia mi ha raccontato, si tratta di una ricerca di se stessa. Una ricerca che forse non avrà fine, perché lei non vuol porre la parola fine al suo viaggio artistico. Le donne senza volto dei dipinti sono fluttuanti, androgine, indefinite ed essenziali come la bellezza che emanano e di cui le tele sono composte. Molti ritratti hanno avuto come modello immagini patinate estrapolate dalle riviste in cui la “solita” bellezza “commerciale” viene svelata e ricoperta di un nuovo e personale significato. E poi le fotografie. Senza titoli e senza didascalie sono scatti sfuocati e mossi, dal forte contrasto che esalta la grana delle stampe in biancoenero. In un bagno scarno, antico ed asettico una donna anziana (la nonna dell’artista) si spoglia, il nudo rotondo è in contrasto con le minimali geometrie delle mattonelle, la donna si immerge nella vasca, con uno sguardo invisibile ma smarrito e assente, viene lavata dalla nipote, le mani tremolanti appoggiate sulle gambe, le pieghe dei seni e del ventre sono morbide come un paesaggio astratto e inquietante, un accappatoio l’avvolge e lei sembra impaurita, ma forse è solo la nostra impressione nel vedere la fragilità dei suoi movimenti. Non c’è morbosità e crudeltà nell’occhio di Silvia, ma ancora la ricerca di una bellezza questa volta non canonica: la bellezza del tempo trascorso, della deformazione naturale di un corpo un tempo fresco e primaverile ma ora giunto verso il suo autunno. Silvia ama l’autunno e l’inverno, stagioni colme di rara e decadente bellezza. L’approccio alla fotografia e il risultato dei suoi nudi, oltre a ricordare il Mario Giacomelli di Verrà la morte a prenderti e avrà i tuoi occhi, hanno riferimenti a Irving Penn, Imogen Cunningham, Ruth Bernhard fino a Nan Goldin, senza mai cadere nelle trappole di inutili omaggi e camuffati plagi. Sono libere espressioni di osservazione diretta di una scena a lei quotidiana e personali riflessioni formali/tematiche sul mezzo e sul soggetto che ha davanti a sé. Ricordo quando, una sera, Silvia mi fece vedere le prime stampe di questo suo progetto. Ricordo ancora di quanto rimasi affascinato della sua (in)delicatezza nei confronti della nonna, carica di liscia, terrestre, minima, rotonda, trasparente bellezza.elicatezza nei confronti della nonna, carica di liscia, terrestre, minima, rotonda, trasparente bellezza.te bellezza.


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