ODISSEA

di Luca Cremonesi

Premessa I
Ho il dovere di render giustizia a Paola Giacometti per tre motivi. Chi ha scritto parole di elogio non è rimasto fino alla fine dello spettacolo, mentre io sono restato, in seconda fila, fino al termine dello spettacolo (e ho visto chi è andato via!). Paola ha fatto un gran lavoro – e lo si è visto – che merita rispetto. Paola, inoltre, vive di teatro e per il teatro. Questo sicuramente le costa fatica e sacrifici. Per tale motivo merita di esser presa sul serio.
Premessa II
Come l’anno scorso (senza mare e pattino) parte del service lasciava a desiderare. Se fossi Paola mi arrabbierei molto: errare è umano, ma perseverare è diabolico. Se la scelta di poche sedie è legata ai costi SIAE… be’, mi vien da dire, fatto (traduco: speso) trenta di solito si fa trentuno…
Premessa III
Sono molte le persone che hanno lavorato a questo spettacolo. Non posso citarle tutte per esigenze di spazio, ma mi preme sottolineare come, rispetto agli altri anni, tutti e tutte abbiano ben lavorato. Attori e attrici si sono impegnati e impegnate seriamente e lo spettacolo, da questo punto di vista, ne ha guadagnato in qualità.

 A inizio serata sembrava Woodstock: persone ovunque, parco Pastore pieno, viale Boschetti gremito. Fra i meriti di Paola Giacometti, che torna in scena a Castiglione delle Stiviere, puntuale come l’estate, con il testo Odissea, c’è quello di smuovere questa dormiente e poco partecipe città morenica per uno spettacolo lungo (tre ore abbondanti), una messa in scena complessa e faticosa, fatta di attori e attrici (Cornucopia), ballerine e ballerini (Luana Resmini) e gruppo musicale (SineBuattaBrea con musiche della PFM). Una produzione costosa, di sei messe in scena (Castellaro Lagusello, Castiglione d/S, Mantova e Cavriana), che dimostra che quando il pubblico decide di investire seriamente in cultura qualcosa di buono accade e, visti i risultati, speriamo ci siano denari pubblici anche per aiutare altre iniziative. Meriti e demeriti di questa operazione Odissea sono equamente distribuiti, come è giusto che sia, perché di spettacoli perfetti non ve ne sono nel creato. Procediamo con ordine. Odissea è un adattamento al femminile del noto poema omerico: tutti i personaggi maschili passano al femminile (i principali) e tutte le donne chiave della vicenda sono uomini. Di per sé l’idea non è straordinariamente originale, ma non è questo ciò che interessa in teatro: è come si gestisce la cosa che rende originale il tutto. Chi fa teatro sa bene che la mia non è una posizione snob e neppure prevenuta. Ottimo (forse una delle idee migliori di tutto lo spettacolo) l’adattamento della vicenda di Circe: un mago fricchettone a metà fra Alice Cooper dei tempi d’oro e Renato Zero degli esordi che vive in una grotta trasformata in una discoteca stile Melamara (per chi la ricorda) o comunque anni ‘80. Ottimo l’erotismo darkeggiante che permea la scena e coinvolge ai limiti della realtà Paola-Odissea e Mario Novazzi-Circe (straordinario). Buona, ma troppo plastica (ma potrebbe esser colpa dell’orario), la scena della violenta uccisione dei pretendenti che occupano la casa di Ulisse; lenta e plastica perché il ritmo delle pagine originali è incalzante e virile. Ulisse stermina, con il suo arco, tutti i pretendenti che per anni hanno gozzovigliato alle sue spalle. Provate a immaginare quanto possa essere arrabbiato un maschio che torna a casa e trova il suo salotto pieno di estranei che saccheggiano la sua dispensa e si vogliono portare a letto la moglie sconsolata. Nella presente versione le donne pretendenti al maschio Penelope – trasformate in un gruppo di laide meretrici o teenagers affamate (che qualche dio le benedica!) che ricordano Non è la Rai – vengono ricoperte da un velo rosso che simula lo spargimento di sangue. Ottimo l’episodio del ciclope Polifemo, anche se il ritmo, in questo caso, è un po’ troppo veloce, ma non danneggia comunque la messa in scena arricchita dall’espediente del gioco di ombre per ovviare ai limiti d’altezza del personaggio. Ottima Paola Giacometti, concentrata e immersa nella parte; buoni, mi ripeto, gli attori e le attrici, tolto – mi sia concesso – un Achille da una voce improponibile (è pur sempre il più grande eroe della Grecia classica e pure gli americani hanno scelto un’icona sexy come Brad Pitt per rappresentarlo). Buone le coreografie (curate da Jon*B); bravo il corpo di ballo, anche se un po’ ripetitivo in alcuni passi (troppi grand jetè). Le mie osservazioni vanno, però, contestualizzate perché c’è un problema di fondo in questo spettacolo e, una volta spiegato, la mia lettura avrà un senso di insieme che, forse, non farà così tanto arrabbiare attori, attrici e regista. Il problema ha un’origine, un nome, un cognome e un luogo di nascita: Notre Dame de Paris di Riccardo Cocciante, il famoso musical che generò un delirio di massa superato solo in tempi recenti dal Codice da Vinci. Folle all’Arena di Verona (repliche a non finire) e in tutta Italia, ma anche in Europa (e ora in Asia) per assistere a questo evento, trasmesso più volte anche da mamma Rai. In sé il musical in questione non è il male; si tratta semplicemente di teatro con abbondanza di spettacolo e gli addetti ai lavori hanno ben capito, spero, a cosa e a chi mi riferisco. L’operazione di Cocciante ha figliato spettacoli a non finire (Dracula della PFM, Pinocchio dei Pooh, Romeo e Giulietta in fricassea, ecc…) che scimmiottano l’originale. Perché? perché il successo è stato planetario e perché non è un male (lo dice anche Marx) guadagnare soldi. Odissea fa l’occhiolino a questo filone e il risultato è uno spettacolo costruito su modelli e su canoni – però senza i tempi – televisivi. Se Paola Giocometti ha voluto far questo, tanto di cappello perché l’esperimento è riuscito, il pubblico sarà sempre garantito e nulla di male è stato fatto. Il teatro con spettacolo gode di una sua lunga tradizione che non fa la storia del teatro, ma la arricchisce di orpelli e avvicina la gente al palcoscenico. Sono scelte, come Codice da Vinci: non farà mai la storia delle letteratura, ma ha il merito di aver portato tre milioni e mezzo di italiani in libreria e forse qualcuno ha anche comprato Proust e Moravia. Da questo punto di vista Odissea è un esperimento riuscito perché è un buon prodotto di stampo televisivo e lo si può facilmente constatare  per i continui balletti fra una vicenda e l’altra, per il plot regolare e cinematografico, per le coreografie ricche di intrecci di corpi femminili e forme in vista. In chiusura due critiche severe di cui mi assumo la responsabilità. L’episodio dei Feaci è una delle vicende più belle dell’Odissea. Personalmente su questo episodio ci avrei lavorato molto (ma si sa, chi non sa far nulla fa il critico). In secondo luogo, il taglio femminile non funziona. Il gruppo delle compagne (come suonava bene gridato continuamente!… io, comunque, avrei optato per “sorelle”) di Odissea appare come una comitiva di donne inette che si perde facilmente per strada, che non sa trovare la giusta via e che si lascia fregare da imbonitori e maschi arrapati. Insomma, un gruppo di donne fashion-postfemministe più che delle Thelma & Louise dell’antichità. Forse è proprio per questo motivo che Omero scelse un gruppo di guerrieri, e non di guerriere, per la vicenda dell’Odissea.


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