NOI CITTADINI

di Redazione della Civetta

La redazione della Civetta ha organizzato un incontro con gli stranieri residenti nella città di Castiglione delle Stiviere. Abbiamo voluto sentire e, soprattutto, ascoltare le voci dei cittadini e delle cittadine che vivono – chi da anni chi da pochi mesi – nella capitale delle Colline Moreniche. Li ringraziamo per la disponibilità dimostrata e per le possibilità che si apriranno in futuro…

Quest’incontro nasce in sintonia con i presupposti della riflessione Pensare la città che caratterizza da qualche mese il nostro lavoro. Si aggiunga a ciò la riflessione di Albert Menni (Portrait du décolonisé, Gallimard): “Dialogare con gli stranieri non è aver per loro precauzione e compassione, ma dirgli la verità perché li riteniamo degni di comprendere e, soprattutto, di raccontarci la verità”. In altre parole, lo straniero non è solo forza-lavoro, ma cittadino a tutti gli effetti, che vive e dialoga, ogni giorni, nel e con il territorio. A nostro avviso questo fatto è spesso dimenticato. Ci ha colpito, a tal proposito, il racconto di una signora originaria del Marocco: le è stato detto di non buttare il sacchetto dell’umido nei cassonetti di via Cavour “perché lei abita ai 5 Continenti e non qui”. Ricordiamo che la raccolta dei rifiuti è comunale ed è un servizio per tutti i cittadini.
Seguendo il ragionamento della signora italiana io non potrei buttare nulla nei bidoni del Parco Pastore, ma dovrei riportare tutto a casa… Questo semplice esempio è uno dei cinque spunti, a nostro avviso, più significativi dell’intera conversazione, avvenuta la sera di venerdì 17/06 nei locali dell’Associazione Equatore, che possono essere così riassunti: manca – e sono mesi che ne parliamo – una consapevolezza e un modo di vivere urbano la città e, allo stesso tempo, la diversità. In altre parole, lo straniero – e il diverso in generale – è oggetto di stima intellettuale, o personale, ma non collettiva e urbana: non vengono considerati abitanti la città (cittadini) a tutti gli effetti. Un altro esempio significativo: alcune signore ci hanno fatto notare come l’arredo della nostra città sia ancora insufficiente (va riconosciuto, a onor del vero, che qualcosa si sta muovendo in questa direzione) per chi non ha un tenore di vita simile alla media castiglionese: per chi, infatti, non ha la macchina può essere frustrante anche l’assenza di un marciapiede.

Si tratta di due banali esempi, ma non riducono ai minimi termini il problema. Molte signore ci hanno fatto notare come il quartiere 5 Continenti sia pericoloso indipendentemente dagli stranieri che ci vivono. “Ci siamo organizzati per ripulire alcune zone perché nessuno ci aiuta”. “Manca completamente la presenza delle autorità”. Riteniamo importante questa denuncia – visto che da qualche mese proprio davanti ai 5 Continenti è stata inaugurata la nuova ‘super-casermona’ dei carabinieri, con il relativo aumento delle truppe – perché dimostra come i criminali sono criminali e basta, all’infuori della loro provenienza. Che vi sia, allora, una reale volontà – non tanto nascosta – di non far nulla? Oppure, e ciò conferma la nostra tesi, queste sono, per qualcuno, persone di serie B e, quindi, si possono considerare non-cittadini? Eppure molti lavorano nelle aziende di chi governa, o orienta il governo, della nostra città (l’abitudine ai veti, a quanto pare, non riguarda solo certi investimenti pubblici….). Siamo dunque convinti che vi sia da lavorare, soprattutto – e sono ancora le signore algerine e marocchine a parlare – se guardiamo alla vicina Francia. Che l’Italia, in fatto d’immigrazione, sia un paese giovane dove spesso regna un’insensata ed endemica paura verso lo straniero – immigrato, extracomunitario, clandestino sono parole che hanno perso del tutto il loro significato, diventando luoghi comuni abusati, capisaldi di una chiacchiera ignorante e sostanzialmente razzista – è cosa su cui riflettere con attenzione. È indicativo, a tal proposito, ciò che afferma un signore originario della Croazia: “La parola extracomunitario è ormai diventata offensiva. Nessuno, infatti, parla di extracomunitari riferendosi ai cittadini degli U.S.A.”. Extracomunitario è, infatti, chi non appartiene alla Comunità Europea (americani, svizzeri, giapponesi, israeliani, ecc…). Questa parola è ormai un contenitore per ridurre ai minimi termini il molteplice universo-stranieri. Parlare di extracomunitario non esaurisce l’essere straniero, non lo oggettiva in quanto tale. Una persona è straniera in relazione ad una situazione contingente e mutevole che lo rende tale, ma sarà anche alto o basso, bello o brutto, originario di una qualche zona, di una certa età, con un certo carattere e con le sue tradizioni e abitudini e con la sua unica, irripetibile e sfuggente ad ogni definizione storia personale. La testimonianza diretta, l’ascolto dei racconti, è così un fondamentale e indispensabile punto di partenza.

Rafforza la nostra analisi l’affermazione di una giovane ragazza nigeriana (17 anni): “Noi abbiamo un senso di responsabilità molto forte. Siamo qui per studiare e questo costa dei sacrifici ai nostri genitori. Abbiamo degli obblighi verso di loro, ma anche verso il nostro paese. Studiamo per migliorare la nostra condizione, ma anche per poter aiutare il nostro paese”. Non ce ne vogliano gli amici giovani della Civetta, ma un ragionamento di questo tipo non credo esca facilmente dalla bocca dei nostri 17enni. Non si tratta di affermare una stupidità nostrana, ma semplicemente di ricordare come un discorso di questo tipo sia sintomo di una maggiore maturità rispetto a quello di alcuni 17enni (ma in Università a Verona la cosa non è tanto diversa, e neppure in altri luoghi, si ricordi la Pressa…) all’arrivo, nella loro classe, di un ragazzo nigeriano: “È arrivata la scimmia…. Ma poi hanno visto che ero bravo in matematica e così mi hanno avvicinato”. Questo denota un altro fatto: se lo straniero è utile, allora lo avviciniamo. Siamo anche persone aperte e lo invitiamo a casa nostra. Ma, e in molti lo hanno rilevato, “nessuno di voi viene a casa nostra quando vi invitiamo”. “C’è sempre una scusa per non venire”.

Qui s’innesta un’altra riflessione: “A Castiglione la gente è accogliente, non ci sono particolari problemi”. Emerge però – dalle parole di tutti i presenti – una chiusura umana che caratterizza la gente del ricco nord. In molti sottolineano che il calore della gente del sud, soprattutto degli abitanti di Napoli, è di gran lunga superiore al nostro. Crediamo, ancora una volta, che sia una questione di accettare, incontrare, ascoltare e dialogare con la differenza: la differenza non va negata, bensì estremizzata e quindi valorizzata per la straordinaria risorsa che è. Ci consola, purtroppo, constatare che il problema è ben più esteso: basta osservare gli sguardi che molta gente rivolge a chi mostra tatuaggi e piercing, alle coppie gay e lesbiche, ecc… Si tratta di una congenita e radicale mancanza di cultura per la diversità, sostenuta e foraggiata da una morale perbenista di stampo storico-clericale (il 75% di astensionismo lo dimostra inequivocabilmente). Non solo, è un problema ancor più esteso e, proprio per questo ben radicato nelle nostre coscienze: non tolleriamo più l’altro in generale, il vicino con il cane, gli anziani, i ragazzi e le ragazze con il motorino, ecc… Bisogna riflettere con attenzione su questo fatto, ne va della nostra stessa civiltà.

C’è un intervento di un signore ghanese, che abita ormai da parecchi lustri a Castiglione, che ben riassume il problema: cercare e trovare banali critiche è facile, ma è facile dovunque, non solo in Italia, non solo a Castiglione, serve chiedersi come risulterebbe un confronto con le situazioni del proprio Paese, ammesso che esista ancora, e chiedersi, per cominciare a sentirsi integrati, non solo perché la popolazione non ci venga incontro, ma anche “cosa faccio per migliorare la mia condizione? Spesso noi stranieri non partecipiamo alla vita collettiva della città o del paese in cui ci troviamo (come è successo anche con la festa del 26 giugno)”. “Questo aumenta la diffidenza nei nostri confronti, ma allo stesso tempo, ci isola ancor di più”. Tutti, in altre parole – stranieri e non – siamo chiamati ad aprirci all’altro, non è un compito univoco. Ma anche questo è sintomo di una maturità collettiva che drasticamente ci manca.

Queste ultime considerazioni sono la quadratura del cerchio di quest’esperienza, che è l’inizio di un dialogo-ascolto che vuole incontrare i volti di tutti i cittadini (non degli stranieri, degli extracomunitari, dei meno abbienti ecc… semplicemente di cittadini). Solo così – raccogliendo l’invito degli stranieri – e ascoltando altre realtà urbane (quartieri difficili, portatori di handicap, anziani, artisti, cattolici e altre religioni, istituzioni e intellettuali, ecc…) è possibile descrivere e pensare la città, come spazio comunitario e urbano.

In conclusione, siamo convinti che ci sia molto lavoro da fare, ma soprattutto che si debba ascoltare molto. Troppo volte si è soliti parlare al posto di qualcuno, prende la parola al posto di… A nostro avviso, per Pensare la città, e comprendere la molteplice e variegata comunità che siamo, serve ascoltare e creare spazio per ascoltare le varie voci che popolano la città. Noi lavoriamo guardando principalmente alle discriminazioni che lo Stato (il settore pubblico) non dovrebbe fare. Le istituzioni sono chiamate infatti ad un miglioramento prima di tutto culturale. Solo così lo straniero – e l’altro nel senso più ampio del termine – cesserà d’esser un corpo estraneo nella e della società. Scrive Jacques Derrida: “Si tratta sempre di rispondere d’una dimora, della sua identità, del suo spazio,dei suoi limiti, dell’ethos in questo soggiorno, abitazione, casa, focolare, famiglia, privacy (Sull’ospitalità, Baldini&Castoldi)”. Pensare e ascoltare lo straniero (e l’altro) come cittadino è, dunque in estrema sintesi, una questione etica: un problema, in altre parole, di stili e di modi di vivere la città e la comunità, ma non solo…


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