I MIEI PRIMI GIORNI
DI SCUOLA IN ITALIA

di Songne Seydou

Ero arrivato in Italia tre mesi prima della fine dell’anno scolastico. Non capivo l’italiano tranne “come ti chiami?” e “da dove vieni?” a cui sapevo rispondere. Però non volevo stare a casa perché prima di venire in Italia studiavo. Un assistente sociale mi ha aiutato a iscrivermi e mi ha affidato a un altro ragazzo della classe dove ero stato inserito. Si chiama Salvo ed è lui che doveva aiutarmi a rispondere alle domande dei curiosi e a dirmi cosa fare. Mi ha mostrato un posto in cui incontrarci la mattina presto per poi continuare alla fermata dell’autobus. La mattina dopo sono andato esattamente al posto stabilito e ho trovato quel ragazzo li in piedi, ha detto ciao e anch’io ho risposto ciao. A tutto quello che diceva rispondevo si o no e egli ha capito da solo che non riuscivo a comprendere niente. Nell’autobus ero seduto accanto a lui e non potevo dire niente. Siamo arrivati a scuola, i ragazzi andavano in gruppo e io ero li in mezzo non riuscivo a individuare neanche una parola di quello che dicevano. Tanti pensieri mi venivano in mente; mi chiedevo: “ ma cosa si stanno dicendo?” forse mi stanno insultando oppure parlano di un’altra cosa.

Ero sordo e triste. Cominciavo a immaginarmi le domande che i professori mi avrebbero rivolto per curiosità e classificavo le risposte a quelle domande traducendo dal francese all’italiano. Forse mi chiederanno che classe facevo quando ero nel mio paese e io avrei risposto traducendo: “ho avuto il diploma del primo ciclo” che vuol dire licenza di terza media. Mi facevo la traduzione delle parole con la mente e mi preoccupavo di come si sarebbero comportati i ragazzi quando fossi entrato in classe. Chissà se ci sono anche delle ragazze, chissà che risate alla mia prima vista. Oppure diranno che sono brutto o non mi lavo, visto che loro sono bianchi! Man mano mi avvicinavo alla classe e veloce mi batteva il cuore. Quando entrai in classe uno disse un bla bla bla e tutti si misero a ridere tranne Salvo e la professoressa ha preso il registro e ha scritto qualcosa; infatti è da li che capii che la parola che il ragazzo aveva pronunciato era dispregiativa e la mia tristezza si accentuò. Per fortuna i miei nuovi compagni erano tutti maschi, questo mi dava il coraggio di calmarmi. Mi chiedevano uno dopo l’altro il mio nome e quando glielo dicevo facevano fatica a ripeterlo e cosi si divertivano ma io persistevo nella mia preoccupazione. Ero seduto in classe ma la mia anima era fuori.

Durante la ricreazione ero rimasto seduto come una statua di piazza san Pietro; poi sfortunatamente mi era venuto di andare ai servizi ma avevo una grande paura di uscire in mezzo questo mucchio di ragazzi che schiccheravano da matti. Però la pipi non sa dove e quando venirci. Mi ero alzato e ero uscito, i ragazzi erano lì, alcuni appoggiati ai muri di sostegno e altri alle pareti della classe lasciando una stradina ai passeggeri. Facevo fatica a camminare, le mie gambe erano diventate pesanti e cominciavo a sentire dei puntini elettrici al collo e sulla faccia; più avanzavo più aumentava questo sentimento ma per fortuna sono di pelle scura non potevano accorgersi che ero diventato rosso. Poi sono andato in bagno cosi, dopo qualche instante è suonata la campana. Al mio ritorno tutti erano gia entrati. Quando il prof mi ha chiesto dove ero ho risposto in modo discontinuo: “io sono in ba-gno”. Tutti si erano messi a ridere e i miei occhi erano diventati lucidi lucidi. Ma poi il prof ha interrotto le risate e mi ha salvato la vita. Finalmente la scuola per quel giorno era finita. Il problema rimasto era come arrivare a casa senza subire prese in giro. Dovevamo aspettare la fermata finchè non arrivava l’autobus. E lì non sapevo dove stare perché i ragazzi erano raggruppati amici e amici, compagni e compagni; anche il mio guidatore ci stava. E io che ero nuovo non avevo amici, solo per la prima volta tra compagni di classe.

Ero andato vicino a un gruppo e mi ero girato lasciandolo alle mie spalle per non guardarli in faccia. Finalmente era arrivato il pulman, ma anche per salirci era un problema perché si spingevano. Io volevo provarci e mi avevano strappato i sandali dalla borsa. La situazione era peggiorata perché entrato in autobus non avevo trovato posto. Dovevo stare in piedi con il laccio del zaino strappato. Tutti mi guardavano perché ero l’unico sfortunato a non aver trovato posto. Anche se non li capivo, pensavo che parlassero tutti di me dicendo “perché ha lo zaino strappato?”. Ero scioccato e qualcosa mi diceva di inginocchiarmi cosi non mi avrebbero visto, ma sarebbe stato peggio. Arrivato alla fermata in cui dovevo scendere, scesi facendo un sospiro di sollievo. E cosi era finito il giorno più fastidioso della mia vita. Più andavo a scuola e meno mi sentivo diverso. Avevo cominciato a parlare coi ragazzi chiedendo loro di spiegarmi cose che non avevo capito. E loro si accontentavano perché piace loro fare l’insegnante. Cominciarono a scherzare con me durante gli intervalli anche se non li capivo perfettamente.


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