CONTRO I PERPETUI
POVERA, VECCHIA ITALIA

di Luca Morselli

Ho letto un libro. Il suo titolo è Contro i perpetui ed è stato scritto da Ivan Scalfarotto (Il Saggiatore, Milano 2006). Il nome dell’autore forse può sfuggire ai più, ma sforzandosi un po’ ci si ricorda di averlo già sentito in occasione delle primarie del centro-sinistra dello scorso autunno. Ivan Scalfarotto in questo bruciante ma scorrevole pamphlet parla per l’appunto delle ragioni che lo hanno portato a lanciare la sua candidatura alle primarie dell’Unione di domenica 16 ottobre: lui, 40 anni, direttore del personale in una prestigiosa banca di Londra prima e di Mosca adesso, cittadino qualunque, politico ex novo venuto dal nulla, voleva fare il presidente del consiglio. Le motivazioni della sua scelta, insieme a mille piccole e preziose riflessioni politiche, sociali e istituzionali sul malsano stato di salute dell’Italia, sono tutte raccontate in questo libro. Le sue analisi e proposte mi hanno motivato, elettrizzato, gasato: per la prima volta sono completamente d’accordo con tutto ciò che dice un politico, riesce a dare voce a tutte le riserve d’idee e d’umore, a denunciare le magagne e i meccanismi marci della classe dirigente politica che ho covato, sentito, elaborato in questi anni, e di cui, ahìnoi, abbiamo assistito all’ennesimo tonfo nell’ultima tornata elettorale del 9-10 aprile.

I punti evidenziati da Scalfarotto sono semplici, chiari ed illuminanti: una maggior apertura dell’Italia (sociale, etnica, culturale, politica, linguistica, etc.), un sistema istituzionale meritocratico, e una piena e radicale laicità dello Stato. Credo siano massimamente le linee generali che un soggetto politico di sinistra debba difendere, sostenere e portare avanti. Una sinistra che voglia essere davvero tale, dicasi alternativa e opposta allo stato di cose del berlusconismo, non deve puntare solo su questa o quella riforma, su un cambio di deleghe o di nomi, ma rispondere ad un’idea di società più ampia che detti l’agenda politica, basata su una sostanziale uguaglianza di diritti e di possibilità, sulla meritocrazia e sulla laicità. Temi e impegni dimenticati, smarriti, quando non volontariamente saltati dall’attuale classe dirigente del centro-sinistra; suona un po’ ridicolo in realtà parlare di “attuale” classe dirigente: i vertici politici non godono di un fisiologico ricambio di nomi, facce e idee da venti anni. Tutti questi sono, per l’appunto, i perpetui, quelli che non se ne vanno, che restano aggrappati al loro posto in tutti i modi: la cosa che meglio sanno fare è conservare la poltrona. In questo, credo, il caso esemplare è quello di Clemente Mastella: approdato in Parlamento grazie ad una buona spintarella degli allora vertici Dc (sempre loro, dannazione, non ce ne libereremo mai con questa classe dirigente al potere! Provate a fare la somma dei voti ricevuti alle politiche dai partiti nati dalle ceneri dello scudo crociato o che in qualche modo ne hanno ereditato le ideologie, quando non ancora i nomi o gli impegni, un cartello di partiti trasversale che, magia, appoggia due leader diversi, e scoprirete chi ha vinto le elezioni) nel fu 1976 (!), e, incredibile, non si è più mosso.

Scalfarotto parla di questo, del triste primato del parlamento italiano che vanta l’età media più alta d’Europa. E i capi di governo? Abbiamo appena votato gli stessi, precisi candidati del 1996, due settantenni, due vecchi. Josè Zapatero ha 43 anni, tanti quanti ne aveva Tony Blair al tempo della prima elezione. Angela Merkel ne ha 55, il candidato conservatore per le prossime votazioni britanniche è David Cameron, 39 anni. E noi italiani? Gli italiani subiscono le loro eterne anomalie: il corporativismo, l’accordo sottobanco, il compromesso, le spintarelle, “un favore a me e uno a te”: il tutto in seno ad una classe dirigente che non sa, o non vuole, rinnovarsi, rendendo l’Italia vecchia, ancorata ad una mobilità sociale pari a zero, ferma a paradigmi etici e tecnologie già superate dal resto d’Europa da 15 anni. Non arriva ad occupare un ruolo di dirigenza o di comando chi è più bravo, chi ha sudato maggiormente e lo ha così meritato, ma chi ha i migliori agganci e raccomandazioni. Discorso, questo, che vale per ogni settore italiano: l’università, gli ospedali, le televisioni, le banche, le istituzioni, e, non ultime, le segreterie dei partiti. Tutti i maggiori candidati alle ultime elezioni (va da sé: anche a quelle prima, a quelle prima ancora, e ancora, etc.) vivono in un mondo ovattato, fatto di privilegi politici, lusso, e salotti buoni romani. Che cos’è la seconda serata di Vespa se non un ovattato e quieto salotto romano? Perché i politici vanno da Vespa con trucco e telecamere e non vanno in piazza, nelle strade, sui luoghi di lavoro, nelle carceri, nelle scuole? In questi anni di ovattato, perpetuo e auto-referenziale mantenimento dello status quo della politica italiana, la distanza fra la società civile e la classe dirigente che dovrebbe rappresentarla è cresciuta a dismisura, fino a perdere del tutto ogni forma di rappresentanza. L’ammuffita classe dirigente risponde a sé e per sé: in questo senso, qualcuno riesce a spiegarmi, oltre all’endemica allergia al ricambio e alle gestazioni di piazza, perché nessuno paga mai? Le sconfitte, a volte spaventose (come quella del 2001: con uno scarto di voti del genere in qualsiasi altro paese l’intera lista dei candidati sarebbe saltata e scomparsa) vengono metabolizzate, superate. Ma come diamine fanno Rutelli, Fassino, D’Alema, Amato, ad essere ancora lì? Quale credibilità, quale diritto ad essere ancora lì possono avere?

Detto questo, ho anche detto perché Contro i perpetui entusiasma e manda in fibrillazione: perché analizza e denuncia il mancato ricambio generazionale, la costante prevaricazione che i giovani subiscono, la riduzione della politica ad una scatola chiusa gestita da perpetui settantenni. E il paese invecchia, invecchia, invecchia: la politica ha bisogno di rinnovo, di forze fresche, di creatività, e la creatività ha meno di 40 anni. Di conseguenza abbiamo una perenne fuga di cervelli, ricercatori e studiosi che, accolti con ogni lode all’estero, incredibilmente qui non hanno spazio, sostegno e possibilità. Ci ha provato Scalfarotto, in prima persona, a lavorare per cambiare tutto questo, con la sua candidatura alle primarie: Ventiseimila voti e un nome caduto nell’oblio: che fine ha fatto? Non ha ottenuto, nonostante la vittoria dell’Unione, nessun ruolo, posto, ufficio, sottosegretario, addetto stampa, niente. Le segreterie dei partiti devono averlo dimenticato nello stendere la lista di governo. Cosa stavamo dicendo?


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