SCHIZZI D’ITALIA: LA DESTRA

di Giuliano Antonello

Due ex sindacalisti presidenti di Camera e Senato, un postcomunista presidente della Repubblica, un altro postcomunista ministro degli esteri, dei comunisti non pentiti saldamente nella maggioranza di governo: solo Berlusconi poteva compiere questo miracolo in un paese strutturalmente di destra come da sempre è l’Italia. Davanti a questo en plein istituzionale la destra sembra non aver dubbi: se non proprio di colpo di stato, almeno di regime le sembra lecito parlare, dato il risultato elettorale, che le componenti più estremistiche (Forza Italia e Lega) non hanno ancora formalmente accettato. In effetti, dal loro punto di vista, queste elezioni hanno davvero il sapore della beffa: senza il voto degli italiani all’estero e senza la “porcata” di questa nuova legge elettorale, Berlusconi sarebbe ancora capo del governo. Sono molti i commentatori politici che ritengono abbastanza salda questa nuova maggioranza. Forse hanno ragione, anche se non lo credo, ma non è questo il punto più importante, perché il declino dell’Italia mi sembra irreversibile, pure se il mese prossimo si verificasse un evento positivo ben più decisivo della striminzita vittoria elettorale, la bocciatura dello scempio costituzionale che la CDL vorrebbe imporre a tutti i cittadini italiani. Provo schematicamente a giustificare il mio pessimismo. Montanelli parlando degli italiani e di Berlusconi formulò una diagnosi (“Questo è un paese che non sa andare a destra senza il manganello”) e una prognosi (“È bene che gli italiani provino Berlusconi, solo così ne saranno definitivamente vaccinati”) fra loro in contrasto, dato che con Mussolini gli italiani avrebbero dovuto essere già vaccinati dal gusto del manganello e dalla fiducia nei Cavalieri. Così non è, evidentemente. Voglio limitarmi ad enunciare tre ambiti problematici che, a mio avviso, meriterebbero di essere approfonditi con grande attenzione. Riguardano la destra di questo paese, ma farò seguire in un altro intervento, se mi sarà concessa l’opportunità, analoga analisi della condizione della sinistra.

Berlusconi non è un leader
Se un leader è colui che orienta l’opinione di un popolo, allora Berlusconi non è un leader, nemmeno un leader populista alla Peron. Berlusconi non orienta proprio nulla. Uscito dalla pancia del paese, ne esprime in modo quasi mimetico l’umore, il tenore, i contenuti. Berlusconi non è il leader delle partite IVA o di particolari fasce sociali del paese, è “uno di loro”, non parla con così tanta naturalezza il loro linguaggio per diabolica astuzia comunicativa, ma perché è proprio il suo linguaggio. Per i suoi elettori è la vox dei perché è la vox populi.
È il sogno realizzato del partito dell’Uomo Qualunque di Giannini, finalmente protagonista della scena, dopo che la disgraziata stagione giudiziaria ha tolto di mezzo la DC, essenziale per filtrare le acque torbide e i liquami della cosiddetta società civile e restituirle in veste presentabile alla ribalta politica. Scambiare Berlusconi per un leader e quindi deprecare il fatto che la sinistra non sappia produrne uno di pari efficacia è perciò una fallacia pericolosa.

La destra non rappresenta i ceti produttivi
Quello che impressiona alcuni analisti politici è il fatto che la gens berlusconiana sembra soggiornare nella sedicente parte produttiva del paese, il nord laborioso, l’industriosa Lombardia, il mitico nord-est, quasi a testimoniare che è proprio la politica politicante di Roma ladrona a bloccare proditoriamente la rinascita del paese. Ma proprio nel nord-est i nodi stanno per venire al pettine e una pletora di micro, mini e piccole imprese, che hanno prodotto un improvviso e inconsueto benessere in una zona mai stata prima all’avanguardia, sfruttando il lavoro familiare, le protezioni statali la svalutabilità alla bisogna della lira, denigrando la cultura, in quanto non immediatamente convertibile in denaro pronta cassa, si sente ora minacciata dalla concorrenza cinese. Quasi tutti operanti in settori a bassa tecnologia, facilmente imitabili, incapaci di capire che questi nuovi concorrenti non si battono con i protezionismi, ma con la ricerca scientifica e tecnologica, vedono il baratro aprirsi davanti a loro. Capiscono che per quanto si abbassi il costo del lavoro e si costringano gli operai a turni massacranti, non potranno mai competere su questo terreno con le aggressive economie emergenti, perciò sono furiosi con il mondo politico, con la sinistra, con i comunisti, con i parassiti, con l’Europa. Li conosciamo bene. Sono, a prescindere, contro il governo, contro tutti i governi che si sono succeduti in Italia, eppure sono proprio quelli che hanno sempre votato per i partiti che hanno governato l’Italia. Scambiare questi stakanovisti dei schei per un ceto produttivo moderno di cui tener conto per il rilancio del paese è la seconda fallacia pericolosa.

L’Italia è divisa fra conservatori di sinistra e reazionari di destra
Ci sono tre categorie di soggetti che possono, in diversa misura, influire sulle dinamiche socio-politiche: quelli che non hanno nulla da perdere, quelli che hanno qualcosa da conquistare e quelli che hanno qualcosa da difendere. I primi rappresentano i più facili da accontentare. Quando raggiungono una certa consistenza possono entrare in agitazione e fornire il materiale umano alle rivolte, ma sono appunto fiammate che possono essere spente con la sperimentatissima politica del panem et circenses. Chi ha qualcosa da conquistare sente che il ruolo che occupa nella società è inadeguato alla sua forza reale e, quando il divario fra realtà e rappresentazione è sufficientemente ampio e il gruppo bastantemente numeroso, la potenza di cui sono portatori li rende intrinsecamente rivoluzionari o fattivamente riformisti, comunque incisivi e capaci di ridefinire in profondità l’organizzazione sociopolitica. Sono quelli che hanno qualcosa da difendere ad essere largamente maggioritari nel nostro paese, un paese sulla difensiva. Qui Berlusconi pesca il grosso del suo elettorato, reazionari che nessuna insistita mistificazione del linguaggio può trasformare in moderati. La violenza elementare della loro ideologia, l’insofferenza ad ogni regola, l’indisponibilità ad analisi di largo respiro, l’amore per le scorciatoie gratificanti della sottocultura, il gusto dell’offesa, dell’irrisione, dello scontro frontale, il tutto sotto le mentite spoglie di un perbenismo sempre più faticosamente esibito, li rende in larga parte estranei alla democrazia. In Italia sono loro che conservano la più forte riserva di energia, sono loro che si riconoscono nel Berlusconi sbraitante al convegno degli industriali a Vicenza, nel comiziante che minaccia lo sciopero fiscale, nell’estremista che insulta senza ritegno i senatori a vita. Scambiare questi reazionari per interlocutori democratici, avversari ma non nemici, è la terza pericolosa fallacia.


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