L’ARTE DI GIAMPIETRO MORETTI

di Leonardo Tonini

MEDOLE, 22 DICEMBRE 2004 - 23 GENNAIO 2005

In ogni artista, dal ciarlatano in cerca di fama a chi tenta di giustificare la propria esistenza con l’esercizio dell’arte, vi è un periodo di affermazione in cui si cerca la propria cifra, l’elemento che faccia riconoscere chi fa in quello che fa. Ma con una differenza sostanziale tra l’artista vero e il ciarlatano: l’artista vero cerca il riconoscimento di se stesso, il ciarlatano cerca il riconoscimento dello spettatore. Succede che quando il ciarlatano trova qualcosa per cui essere riconosciuto si pietrifica, si fossilizza su quello che pare essere la chiave del suo rapporto con gli altri. Come Jeff Koons o, per restare in Italia, Arnaldo Pomodoro, una volta trovata la gratificazione degli altri (splendidamente definita dal riscontro economico) si è bloccati nel proprio personaggio, imprigionati da una recensione. E così, come tanta parte dell’arte contemporanea, si ripete all’infinito lo stesso concetto e si soffoca la differenza. Tutt’altra cosa è ciò che io chiamo il vero artista che dialoga con se stesso, ma non con la parte lucida di ognuno ma con quello che Artaud chiama il corpo senza organi, non organizzato, con la massa viva che preesiste alla coscienza individuale. Una lotta vana e senza fine, ma enormemente più ricca dal punto di vista umano. Da fuori la differenza tra artista e ciarlatano non potrebbe essere più smaccata. Il ciarlato, sempre più riconosciuto, è un presenzialista in balia del proprio attivismo, perché l’affermazione pubblica di sé è un inseguimento senza fine, oggi si ha il consenso e domani si può essere dimenticati. Il vero artista lavora sempre di meno, fa sempre a meno del pubblico, è sempre un po’ più avanti, e non perché migliore di chi osserva, ma perché ogni giorno è più se stesso e quindi più diverso dal resto del mondo. La sua ricerca verso l’individuale lo porta verso quella zona che accomuna tutti gli esseri viventi nella loro unicità. Ciò che ci fa uguale agli altri è la nostra diversità, ognuno è diverso da ogni altro e questo è propriamente l’elemento universale che l’arte ricerca continuamente. Capito questo è abbastanza facile chiamare il famoso Arnaldo Pomodoro ciarlatano che ha avuto una sola buona idea ormai quarant’anni fa e il meno famoso Giampietro Moretti artista vero. Guardando l’arte di Moretti non posso fare a meno di pensare a Grotowsky e al suo teatro della povertà. Per il regista polacco il teatro è ciò che avviene tra spettatore e attore e tutto il resto (scenografia, testo…) non riguarda l’essenza pura del teatro. Davanti a Moretti mi chiedo: qual è l’elemento essenziale della scultura? Anche Lillo Marciano nel commento all’opera di Moretti (Installazioni 1999/2004 Magalini Editrice Due) coglie il senso della questione dicendo che queste sculture sono concepite “come se non dovessero essere viste da nessuno” e questo è un altro elemento che avvicina a Grotosky. Qui non c’è il tempo per venire a capo della questione e nemmeno per imbastire il discorso, posso solo chiedere a chi legge di appuntarsi il nome di questo artista, di guardare le foto in questa pagina e di tenere d’occhio i suoi movimenti.


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