LA DESTRA È ROCK,
LA SINISTRA È (ANCORA TROPPO) LENTA

di Luca Cremonesi

Questo è il primo di due articoli che si occupano di azione politica e agire sociale. In vista del 2006 e degli impegni socio-politici a cui saremo chiamati, vorrei provocare i lettori e le lettrici, i collaboratori e le collaboratrici, su questi temi nella speranza di generare un bel dibattito…

La Destra è rock, e lo é grazie a Celentano: questo è il risultato che Rockpolitik ci lascia in eredità e che anticipa la vittoria culturale e politica (nel 2006) dell’attuale maggioranza. “Non possiamo non dirci cristiani” affermava Benedetto Croce. Dopo Rockpolitik e tutto il parlare che se n’è fatto (dalla televisione ai giornali, dalla pubblicità al luogo comune) mi sento di affermare che in Italia, per quanto riguarda la cultura e la civiltà, non possiamo non dirci fascisti: è nel nostro Dna, non riusciamo a liberarcene.

Non intendo fascista nel senso tradizionale (è un modo d’essere che non condivido, ma è pur sempre un’idea con valori forti con cui avere a che fare), ma come categoria socio-politica. Il pensiero che produce e cerca la contrapposizione (o con noi o contro di noi), lo scontro e la negazione del tipo “ora comanda una certa parte, appena arriviamo noi mettiamo i nostri” – che implica quindi vendetta – è fascismo, è violenza culturale e sociale (è anche il tema dell’ultimo pamphlet di Giancarlo Bosetti, fresco di stampa, Cattiva maestra, Marsilio). La prima puntata di Rockpolitik si è aperta con il monologo lento o rock, e cioè con la consacrazione di un modo di pensare e valutare il mondo per contrapposizione (bene-male, lento-rock, buono-cattivo, ecc…).

Rockpolitik, la cui gestazione ci ha tormentato per un anno intero – se ne parla dal febbraio 2005 – è stato questo: la consacrazione dell’attuale classe dirigente e della sua mentalità. Una definitiva consacrazione perché tutti hanno salutato questa trasmissione come l’unico spazio di libertà possibile, dimenticando che la libertà si conquista e non si concede, altrimenti si tratta veramente di regime. Tutti ne hanno parlato e molti intellettuali ne hanno tessuto elogi imbarazzanti. Solo Benigni, durante il suo intervento, è riuscito a dire come stavano le cose. Mentre svestiva la bella valletta ha affermato che si poteva spogliare perché quella era “la trasmissione delle libertà, anzi della casa delle libertà”. Celentano non ha gradito perché smascherato in diretta. Mi duole ancor più constatare (ma è veramente un caso?) che l’operazione Rockpolitik sia stata portata a termine nei mesi di Ottobre e ovembre durante le celebrazioni per i 30 anni dalla morte di Pasolini. Qualcuno mi ricorda che Celentano ha mostrato dei filmati del regista in prima serata: era pur sempre una trasmissione d’intrattenimento legata all’attualità, come poteva non parlarne?

Celentano è strutturale a questa destra e tutti sono caduti nel tranello, complici dall’interno, dell’elogiare questa trasmissione. Pensate all’intervento di Santoro – che si è fatto infinocchiare come un principiante. Biagi invece, da giornalista di razza, ha capito tutto e non ha partecipato alla trasmissione con la motivazione che la Rai non è affatto libera. Biagi, dunque, sapeva che non si doveva cadere nel tranello e ha agito di conseguenza.Celentano, pertanto, deve aver fatto i salti di gioia quando ha fregato il buon Michele, il giornalista che ebbe il coraggio di sbattere in faccia il telefono a Berlusconi durante una diretta. Quello che Santoro ha detto è esattamente ciò che Celentano sperava in cuor suo. Ma è pure quello che questa classe dirigente sostiene: la sinistra è vendicativa e disfattista. “Sto tornando, si preparino i miei a lavorare” che lascia sottointeso anche questo discorso: “appena torniamo noi, risistemiamo le cose e facciamo tornare i nostri”. Azione-reazione, servo-padrone, amico-nemico: è una logica di pensiero per contrapposizione, un modo di pensare fascista. Qualcuno potrebbe obiettare quanto segue: lo fanno loro perché non dovremmo farlo anche noi? Per due motivi. Il primo è perché non siamo così perché non concepiamo la cultura e la società secondo lo schema della contrapposizione. Altrimenti diamo ragione a Celentano – e a chi come lui ragiona per contrapposizioni – quando afferma che destra e sinistra sono uguali (per gli amanti del cinema si veda Ecce Bombo per la risposta a questa banalità). Il secondo è che la contrapposizione è il pensiero della tradizione che oggi è al governo - e su questo sono forti e imbattibili. È come dare un mitragliatore a un indios e dirgli di difendersi dall’attacco di un addestrato marines dei corpi speciali. Hanno le stesse armi, ma il secondo può usarle perché sono la sua vita, per l’altro no. Se vogliamo liberarci di questa classe dirigente (vecchia, bolsa, conservatrice, reazionaria e dannosa per la società) non dobbiamo usare gli stessi mezzi. Così facendo, infatti, gli avvantaggiati sono quelli che si critica proprio perché hanno conquistato il potere e lo mantengono grazie a quel modo di pensare.

Per restare nel linguaggio di Rockpolitik, non si tratta di lento o rock, ma di jazz… di uscire cioè dalla contrapposizione. Il jazz, per sommi capi, è creazione: resistere è creare, ho spesso scritto su queste pagine. Intendo un’assunzione di responsabilità in prima persona per cambiare realmente le cose, riflettendo su quello che vediamo e sui messaggi che passano al di là della patina pop con cui tutto può essere giustificato (il pop, mi insegnano Andy Warhol e Fabio Alessandria, è una cosa seria). Creare qualcosa di nuovo è allo stesso tempo driblare la contrapposizione frontale e la riduzione del mondo a categorie preconcette come quelle di rock e lento. Abbandonare questa mentalità che è ormai dominante e a cui si vuol ridurre tutti i problemi per mantenere il potere.

Ecco, a mio avviso un esempio jazz. Santoro doveva restare zitto e non dire assolutamente nulla. Avrebbe smascherato Celentano,
la RAI e tutta l’ipocrisia del ritorno in televisione del molleggiato. Ma forse questa è veramente un’idea jazz e il jazz non è dualistico oltre a essere ascoltato da pochi…


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