NO TAV
NON E’ IN DISCUSSIONE
UNA SCELTA LOCALE
MA IL TIPO DI SOCIETA’
CHE VOGLIAMO COSTRUIRE
No global… No Pil… No ponte… No Tav… Ma siete capaci solo di dire di no? Dove sono le proposte? Non si può fermare il progresso… Anche sulla vicenda del progetto Tav della Val di Susa è in atto il tentativo di mettere in cattiva luce e banalizzare la protesta popolare della gente che si oppone alla realizzazione di quest’opera mastodontica e costosissima, giudicata inutile per il sistema ferroviario nazionale e dannosa per l’economia, l’ambiente e la salute dei cittadini della valle. Uno spreco di denaro pubblico di 15-20 miliardi di euro, un enorme cantiere che bloccherà l’intera valle per almeno 15 anni, un traforo di 53 chilometri e un altro di 10 chilometri che produrranno venti milioni di metri cubi di materiali di risulta. Per portarli via ci vorranno due milioni di viaggi di camion. Un’opera pericolosa dal punto di vista ambientale per l’amianto e l’uranio presenti nella montagna dove si dovrebbero scavare i tunnel. Meraviglia che anche la neo eletta presidente regionale Mercedes Bresso abbia voluto polemizzare, in modo sprezzante, con “gli esasperati localismi” dei cittadini e degli amministratori della valle, i quali non avrebbero alcun titolo per mettere in discussione l’utilità dell’opera – in quanto “tocca ad altri decidere” – tacciando di “antiscientismo” chi non condivide questo progetto e assecondando il ministro Pisanu nel sostenere la teoria allarmistica della possibile deriva estremistica e terroristica del movimento di opposizione alla Tav della Val di Susa. Ma contro la Tav c’è un’intera comunità, che si ritrova nelle fabbriche, nelle scuole, nelle parrocchie, un movimento che esprime la forte richiesta di partecipazione decisionale. Ci sono tutti i sindaci della valle, indipendentemente dalla loro colorazione politica. Contro la Tav ci sono geologi, ingegneri, fisici, medici, tutti docenti dell’Università o del Politecnico. Ci sono economisti ed esperti che sono lontani mille miglia dalla “sinistra radicale” e dagli “estremisti ecologisti” ma che, sulla base dei dati e degli elaborati tecnici, esprimono forti critiche o bocciano senza pietà il progetto.
Mario Deaglio, che è un economista liberale, ha criticato ad esempio l’assoluta mancanza di analisi tecniche ed economiche atte ad assicurare che, con la Tav della Val di Susa, il traffico merci si sposti effettivamente dalla strada alla rotaia. Dario Ballotta, segretario regionale della Fit-Cisl, ha detto che “quest’opera non è prioritaria né strategica: è sostanzialmente inutile”. Le capacità di attraversamento ferroviario degli attuali sei valichi alpini sono infatti largamente inutilizzate: la Ventimiglia-Milano è al 18%, Frejus al 31,5%, Sempione al 18,5%, Chiasso al 78%, Brennero al 37% e Tarvisio al 18,5%. La capacità totale di trasporto dei valichi è di 130 milioni di tonnellate all’anno, ma attualmente il traffico effettivo è ridotto a circa un terzo di questa capacità potenziale. Per trasferire le merci dalla gomma alla ferrovia, quindi, “basterebbe ammodernare la linea esistente”. Ma Ballotta, come altri esperti riformisti, fa un’altra considerazione importante, e cioè che la Svizzera sta già realizzando altri due trafori ferroviari a nord di Milano, che saranno pronti nel 2008 e che produrranno un incremento degli arrivi di treni merci dall’Europa centrale. E’ questo asse nord-sud, secondo Ballotta, “il vero corridoio strategico da potenziare”. “Quest’opera non serve”, ribatte il professor Mario Ponti del Politecnico, editorialista del Sole 24 Ore, secondo il quale non sono garantiti né il rispetto dei costi del progetto né il raggiungimento degli obiettivi previsti per quanto riguarda i livelli di traffico del nuovo tunnel, lo spostamento del traffico merci dai Tir alla ferrovia e l’incremento del traffico passeggeri. Rincara la dose il dottor Franco Ramella, un esperto di trasporti e di commercio con l’estero e collaboratore del Sole-24 Ore, il quale sostiene che “la Torino-Lione è inutile” perché gli scambi commerciali tra il sud europeo e l’Europa dell’est sono praticamente “inesistenti”. La nuova ferrovia Torino-Lione, secondo il dottor Ramella, ridurrebbe il transito dei Tir solo dello 0,8%. Economicamente “non ha ragione di esistere”, tant’è vero che nessun operatore economico privato partecipa finanziariamente all’investimento sul progetto Tav. E’ tutto a carico dello stato. Le imprese private partecipano, invece, al business dei lavori.
E non è vero che non esistono controproposte. Un progetto alternativo c’è. E’ stato elaborato dalla senatrice dei Verdi, Anna Donati, riprendendo uno studio di cinque anni fa delle ferrovie italiane e delle ferrovie francesi. Costa molto meno – circa un miliardo di euro – e ha un impatto ambientale assolutamente trascurabile, nemmeno lontanamente paragonabile a quello della Tav. Sono previsti interventi infrastrutturali e di ammodernamento tecnologico sulla rete esistente, per portare la capacità di trasporto merci dai 9 milioni di tonnellate di oggi a 20 milioni di tonnellate, grosso modo lo stesso quantitativo previsto con la Tav. Questa proposta è stata fatta propria dai sindaci della Val di Susa e dagli abitanti della valle, che con la loro protesta hanno saputo coniugare le ragioni locali con una visione globale dei problemi della società di oggi e con l’idea che il nostro futuro può essere garantito solo mettendo in discussione questo modello di sviluppo che sta distruggendo il pianeta. Perché il problema vero, come sostiene Fulco Pratesi, presidente Wwf, è che “i consumi non possono continuare a crescere all’infinito e l’esaurimento del petrolio renderà inutili le opere faraoniche a vantaggio di un sistema di produzione, di trasporto e di manutenzione che privilegia le piccole distanze”. In discussione non c’è, quindi, una scelta locale, ma una valutazione di prospettiva sul tipo di società che vogliamo costruire.
Info: www.notav.it
P.S.
Mentre andiamo in stampa arrivano le notizie del blitz compiuto dalle forze dell’ordine con lo sgombero del presidio di Venaus e la violenza usata contro i manifestanti. E’ la sconfitta della politica, un brutto segnale che prefigura la militarizzazione della Val di Susa e spinge la popolazione alla rivolta e alla disobbedienza civile. Di fronte all’irresponsabilità delle istituzioni gli spazi per un confronto civile possono essere garantiti solo dalla pratica nonviolenta dei manifestanti.