BRANDING:
NEW - L’INVASIONE INFINITA


Internet. Elaborazioni digitali. Creatività. Advertising. Ironia & sconcerto. Una realtà impossibile, ma probabile? Se non altro la verità sembra non nascondersi più: anche il sacro è dichiaratamente commercializzabile. L’abito talare del cardinale Ruini sponsorizzato dalla Marlboro? Si è da poco concluso il concorso-vetrina Corporate Takeover Photoshop Contest 6, organizzato dal sito internet Worth1000.com. Da tutto il mondo, artisti senza nome (che mi piace definire nickname artists) hanno presentato immagini rielaborate (fotografie popolari, giornalistiche o amatoriali) seguendo l’unico obbligo di Worth1000.com: depict the world completely overrun by logos, advertisements and stores in the most unexpected places [descrivere il mondo totalmente invaso da loghi, pubblicità e grandi magazzini presenti nei posti più inattesi]. Le icone degli imperi multinazionali sono ovunque. Un uomo andrà sotto terra con una bara targata Pepsi; l’obelisco di Washington si innalza pen(os)amente verso il cielo: miracolo del Viagra della Pfizer; in un manifesto Lenin, sorridente, mostra alle masse il nuovo iPod. Accostamenti azzardati e antitetici. Una non celata, anzi ostentata, critica al più fervido consumismo occidentale, del quale – in questi giorni – vedremo, per l’ennesima volta, la sua irrazionale ipocrisia natalizia. Altre “fotografie” rielaborate, invece, hanno palesi riferimenti all’arte: dai ready mades duchampiani fino alla Pop Art. Ma se Warhol & C. de-sacralizzarono personaggi e loghi per innalzarli in nuovi contesti venerabili (l’arte e la sua mercificazione), i nickname artists di Worth1000.com non raggiungono mai questi livelli. Volano a una quota più bassa. Non fanno arte per arte, forse nemmeno arte. Anche se cercano la chiave di lettura pop in modo sbrigativo e superficiale, il loro mirino è uno solo: la critica (intelligente o meno) all’onnipresenza della forza spropositata della pubblicità nella società contemporanea. La pubblicità, ora, mantiene la sua efficacia subliminale senza più nascondersi. La pubblicità non viene più vista come un “persuasore occulto”, come la intendeva – sul finire degli anni Cinquanta – il sociologo Vance Packard. Noi stessi diventiamo portatori di pubblicità. Viviamo sponsorizzati e spesso ne siamo orgogliosi. Nell’ultimate trip, il feto di 2001: Odissea nello spazio, racchiuso in un utero astrale, ha gli occhi vitrei e le mani giunte, è l’immagine di tremore, stupore e speranza. Ora, il “bambino del futuro”, ritratto nella fotografia I own you, è nato. Il corpo del piccino è martoriato da loghi, post-Body Art: il branding è una tecnica più cruenta del tatuaggio: è una marchiatura a fuoco con un timbro metallico arroventato che lascia sul corpo segni indelebili. Morte le ideologie, è viva più che mai, e in forma sempre più privata, la smania del possesso, dello status symbol e del recondito desiderio di essere marchiati, pur credendo di essere liberi.
branding:new!


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