LA PITTURA DI MAURIZIO TOMASONI

di Gianfranco Faini

Da dieci anni Maurizio Tomasoni naviga nell’arte, esplorando mondi complessi, intensi ed esplosivi, segnali di un’autentica vita artistica interiore. Nella natura di Maurizio c’è la tristezza come curriculum, come inizio e fine, ma il colore, oggi ritrovato, giunge nella speranza di ritrovare anche la gioia di vivere, pur se, all’orizzonte, è accesa a lumicino: a questa mira e sogna, a questa manda la sua laica preghiera e, a questa, dona tutta la sua opera, trasfigurando, con donne e astratti paesaggi dell’anima, il mondo dello squallore e dello spettro della moderna mediocrità dell’umano vivere. La sua evoluzione pittorica inizia dal nero, che entra prepotente e protagonista, forte e incidente nel suo messaggio, come fosse una xilografia, cara agli espressionisti tedeschi e a lui, lavorando sulla carta e sulla tela da subito. Le prime opere sono un racconto fatto di minuscoli segni, una sorta di neografìa, dove una moltitudine di personaggi popolano tele di grande formato; un racconto verticale, un’idea quasi orientale, un mescolarsi di intrecci che odorano di fantastico. La combinazione dei segni sono un messaggio: ma chi li decodificherà? In questo sta la complessa bellezza e il suo inesplorato mistero. Da almeno un decennio la ricerca di Maurizio è in via evolutiva, segno di cambiamento e maturazione, di comprensione e di rivelazioni. Il suo certosino lavoro lo ha portato a riscoprire artisti come Picasso, Pollock o a rileggere il genio di Bosch o a guardare al bresciano, alle grandiose opere dicasi “naturali” o davvero “en plein aire”, i Pitoti, le incisioni rupestri su pietra dell’alta Val Camonica fatte dagli uomini primitivi. Tutto questo lo ha portato a cambiamenti sorprendenti e inaspettati, aprendosi al colore e alla luminosità accanto al fantastico uso del nero, ora scisso in una simbiosi quasi sensuale e dolciastra con gli altri colori, rivelando nuove aperture e pianeti dell’arte mai visti prima. Apparentemente brutale, fatta di grossi segni e separazioni col nero, come a confinare le sue personali pareti buie, la sua opera ora sprigiona un’aria diversa, si aprono finestre sul “cambio di stagione e d’abito”, sulle fortune e sfortune dell’avvicendamento intimo del proprio vivere. I quadri del suo passato erano più un avvicendamento di figure dentro e fuori e ad incastro l’un con l’altra, in una metamorfosi continua e permanente, senza la calma e senza pausa nell’intento. Si vedevano animaletti e facce scarne, maschere mascherine accanto a figure longilinee di donne fatate; un segno denso e impregnato dall’onda lunga del surrealismo e dall’espressionismo astratto americano, retaggi straordinari e fortemente presenti nel suo lavoro. Ora le figure tendono a dilatarsi, a sciogliersi in un impasto meno teso al dettaglio, il colore prende il suo spazio e la mano scivola via in una più tranquilla emotività creativa. Questo suo racconto riserva ancora sorprese e alimenta una passione per il suo forte impatto colorante sull’opera in grande formato.


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