UN DOCUMENTO MILITARE TOP SECRET CONFERMA: BOMBE ATOMICHE A GHEDI

di Carlo Susara / postmaster@frammento.org

Noi non abbiamo paura della bomba atomica, cantavano così i “Giganti”, gruppo beat milanese degli anni ’60, ma erano i sixties perché se fosse stato oggi avrebbero dovuto averne paura eccome, sebbene fossero di Milano - e pensare che chi sta a Milano è più distante da Ghedi della maggior parte delle persone che leggono La Civetta - perché proprio Ghedi è il centro del discorso. Alla base militare lì di stanza ci sono infatti numerose testate atomiche, più precisamente alcune B61 del tipo 3E. La certezza assoluta ce la dà un documento militare americano top secret, un documento che è estremamente tecnico, e quindi anche di difficile fruizione e divulgazione, ma che alle pagine 38 e 169 riporta due tabelle molto precise, univoche ed inequivocabili, delle quali riportiamo qui un estratto:
I semplici numeri sono criptici, ma per decifrare l’esatto quantitativo di testate nucleari possiamo fare riferimento ad una recentissima dichiarazione di Andrea Nativi, direttore della Rivista italiana di difesa, che alla domanda precisa “Ci sono testate nucleari in Italia?” risponde con altrettanta precisione “Certamente, ce ne sono una sessantina divise fra Ghedi ed Aviano”. Il documento da cui abbiamo estrapolato questa tabella, tecnicamente denominato “Procedura WS3” (Weapons Storage and Security Systems – Sistema di sicurezza e deposito d’armi), è dedicato al corretto stoccaggio ed alla adeguata manutenzione delle armi, ma non di armi qualsiasi: bensì tratta in specifico di quelle atomiche. Ci dà anche l’esatta collocazione di queste in Europa, in ogni singola base, e deve scottare alquanto se nell’introduzione troviamo scritto che “le unità hanno sessanta giorni per distruggerlo”, ma le parti che più ci interessano sono altre, come la tabella sopra parzialmente riportata o come il primo comma del primo capitolo, il quale recita infatti che “Le istruzioni forniscono consigli, delineano responsabilità, stabiliscono regole e procedure per un uniforme ed efficace gestione delle armi nucleari e dei relativi equipaggiamenti”, delineando inequivocabilmente come tutti gli armamenti citati (quindi anche quelli di Ghedi) siano di tipo atomico; si aggiunga pure che sappiamo, grazie a dichiarazioni pubbliche del parlamento Usa (che le ha finanziate), come a Ghedi siano state costruite undici nicchie di stoccaggio per bombe atomiche B61. Dati questi fatti non si possono più avere dubbi sulla presenza di ordigni atomici sul suolo italiano. Anche Greenpeace, lo scorso novembre, ha confermato in una propria inchiesta la presenza di ordigni atomici sul territorio italiano, anche se differisce sostanzialmente nel numero in quanto si rifà a dati del 1995, mentre il documento in nostro possesso è più recente, per la precisione è del febbraio 2004, ma è comunque utile per datare la presenza di tali ordigni sul suolo italiano: combinandolo infatti con altri dati possiamo far risalire la presenza certa di ordigni atomici a Ghedi a partire dal 1985. Altre notizie molto interessanti si possono ricavare da due ispezioni parlamentari: durante una di queste è stata accertata la presenza di un corpo militare americano specificamente dedicato alla manutenzione di ordigni nucleari, il che conferma indirettamente il documento sopraccitato. Un altro aspetto, non meno grave, riguarda la “proprietà” della base militare di Ghedi: nel corso delle ispezioni parlamentari è emerso come la base sia sotto esclusivo comando italiano e che stocchi armi esclusivamente italiane, questo nonostante l’Italia abbia firmato nel 1970, come paese non atomico, il trattato di non proliferazione nucleare. L’Italia si era infatti impegnata a “not to receive the transfer of nuclear weapons or other nuclear explosive devices or of control over such weapons or explosive devices directly or indirectly”, cioè in qualità di paese non nucleare non doveva ricevere armi atomiche di altri Paesi né direttamente né indirettamente. E nello stesso trattato mondiale gli Stati Uniti si erano impegnati a non cedere a paesi terzi le loro armi nucleari, né direttamente né indirettamente. Sono due passaggi molto importanti perché è chiaro che le bombe ora in possesso dell’esercito italiano gli sono state cedute da quello americano, commettendo così una doppia violazione degli accordi internazionali. Proseguendo, possiamo vedere come nella legislazione italiana troviamo che la legge n. 185 del 9 luglio 1990, all’articolo 1 comma 7, sancisce che: “sono vietate la fabbricazione, l’importazione, l’esportazione ed il transito di armi biologiche, chimiche e nucleari”. Se per la base Usa di Aviano si può far valere l’extraterritorialità, la base italiana di Ghedi è invece italiana e le sue armi nucleari sono anch’esse italiane a tutti gli effetti. Abbiamo in conclusione stabilito come sul suolo italiano siano presenti ordigni nucleari in barba ai trattati internazionali e al dettato costituzionale, ma anche contro ogni logica morale e di buon senso: qualcuno si sente più sicuro con alcune decine di bombe atomiche a Ghedi? Sul prossimo numero potremo leggere le reazioni del Sindaco di Ghedi, Dottoressa Anna Giulia Guarneri, che ha gentilmente acconsentito a rispondere alle nostre domande.
Un particolare ringraziamento a Sauro e al Brescia Social Forum per il contributo determinante dato per la realizzazione di questo articolo.


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