IL BERLUSCONISMO
UN PROBLEMA PER IL PAESE

di Claudio Morselli

Quest’anno, in Italia, la primavera arriverà davvero il 10 aprile, come promette Romano Prodi? In effetti sono in molti a pensare che il centrosinistra vincerà queste elezioni e sembra che, nonostante i vari taroccamenti, tutti i sondaggi lo confermino, sia pure con margini più ridotti rispetto a qualche tempo fa. In effetti, il malcontento, nel paese, è forte. In questi cinque anni di governo Berlusconi il potere d’acquisto delle famiglie, soprattutto di quelle più povere, è diminuito, mentre sono aumentati in modo esorbitante gli stipendi dei grandi manager (quelli che guadagnano alcuni milioni di euro all’anno) e gli utili delle grandi imprese. Se fino a qualche anno fa, ad esempio, lo stipendio di un manager valeva mediamente dieci-venti volte il salario di un operaio, oggi ne vale almeno cento-duecento volte (quello di Montezemolo è pari al salario di 380 operai). Nel 2004 (ultimo dato disponibile), le grandi imprese hanno avuto un incremento degli utili del 42 percento, mentre l’Eurispes ha censito, in Italia, oltre 14 milioni di poveri. Cè poi il caso particolare del presidente del Consiglio, che in pochi anni ha moltiplicato gli utili delle sue otto società che controllano Fininvest: dai 49 milioni di euro del 2003 ai 173 milioni del 2005, perfettamente in linea con l’incremento degli utili Mediaset, passati dai 37 milioni di euro del 2001 ai 332 milioni del 2004. Non solo, dunque, la politica non ha danneggiato le attività economiche del premier, ma le ha anzi risanate e rinvigorite. Nel 1994, anno del suo ingresso in politica, la Fininvest era infatti piena di debiti (5mila miliardi di lire!), tanto che Marcello Dell’Utri affermò che “la politica ha salvato Berlusconi e la Fininvest dalla galera”. In questi cinque anni di governo Berlusconi è stata realizzata, in sostanza, una forte redistribuzione dei redditi a favore delle rendite e dei profitti, e a discapito dei lavoratori e dei pensionati, creando disastri sociali e ambientali, mentre praticamente nulla è stato fatto per il futuro del paese.

Nonostante non abbia mantenuto gli impegni di cinque anni fa, il presidente del Consiglio rilancia e, da buon imbonitore, promette sempre di più. Ma ha perso smalto, e credibilità. E’ vero che, sull’altro versante, nonostante l’accordo sul programma di governo (che rappresenta comunque un dato di estremo interesse), il collante che tiene unito il centrosinistra è soprattutto l’antiberlusconismo, ma credo che oggi non potrebbe essere diversamente. “Non ne possiamo più” ha affermato il presidente della Corte di Cassazione Nicola Marvulli, nel motivare la propria reazione alle accuse del premier contro la Magistratura, accuse che Marvulli aveva definito “deliranti”, guadagnandosi così l’epiteto di “comunista” affibiatogli dall’avvocato di Berlusconi, Carlo Taormina. Ma Nicola Marvulli, classe 1931, è tutto fuorché una toga rossa; non appartiene ad alcuna delle correnti “politicizzate” della Magistratura ed è notoriamente conosciuto come un moderato, un conservatore. Lo stesso Taormina lo aveva definito un “grande giurista”. Questo è lo stato d’animo che attraversa tutta la Magistratura, nessuna corrente esclusa: “non ne possiamo più” degli attacchi all’ordinamento giudiziario e ai magistrati. E per la prima volta, nella storia della Repubblica, è in atto nel nostro paese uno scontro istituzionale di inaudita gravità. E ciò a causa delle vicende giudiziarie personali del presidente del Consiglio e dei progetti di stravolgimento costituzionale del governo.

“Non ne possiamo più”: è questa la sintesi in cui mi sembra si riconosca gran parte dell’opinione pubblica italiana, preoccupata per il peggioramento delle proprie condizioni di vita, per le incognite che ci riserva il futuro e per i rischi e i pericoli che l’anomalia del berlusconismo può provocare al paese. Si è tanto polemizzato sull’estremismo di Caruso, dei disobbedienti e dei no global, ma il vero estremista è Berlusconi, con il suo concentrato di potere economico, potere mediatico e potere politico, che non esiste in alcun altro paese democratico al mondo, con i suoi attacchi alla Magistratura, con l’utilizzo delle istituzioni per propri interessi personali, con la pratica della demonizzazione degli avversari e la volontà di cannibalizzazione degli alleati, con la spregiudicatezza con cui realizza accordi e alleanze con forze che si pongono, di fatto, fuori dalla costituzione, com’è successo con l’alleanza elettorale appena realizzata, per le prossime elezioni, con i fascisti della Fiamma Tricolore. D’altra parte, non è un mistero che il berlusconismo ha fatto saltare il quadro di condivisione costituzionale e antifascista che aveva caratterizzato il sistema dei partiti della prima repubblica. Silvio Berlusconi, si sa, non ha mai partecipato ad alcuna cerimonia del 25 aprile e la sua volontà di stravolgere la costituzione rafforzando enormemente i poteri del presidente del Consiglio può diventare un pericolo per la democrazia o può comunque modificare, in modo radicale ed “estremista”, i connotati della nostra democrazia. Non deve stupire, quindi, che in tale contesto abbia potuto nascere un appello come quello proposto dal presidente del Senato e al quale ha prontamente aderito il presidente del Consiglio, in cui si rivendica la superiorità della civiltà e della cultura occidentale, con contenuti che richiamano alla memoria il manifesto fascista “in difesa della razza” del 1938.

Il berlusconismo è dunque un problema per il paese, ma è un problema anche per il centrodestra, che si ritrova a dover essere blindato sulla linea del capo, con l’impossibilità di dispiegare un confronto aperto di idee e di contenuti al proprio interno e con il paese, mentre il centrosinistra dovrebbe aver compreso che l’alternativa passa attraverso una chiara e forte caratterizzazione della propria proposta politica, che mi pare non possa non esprimersi, soprattutto oggi, con la valorizzazione delle tematiche sociali e ambientali, nella prospettiva di una società nonviolenta e solidale.