LA CINA E’ VICINA
TRA GLOBALIZZAZIONE E COMPETITIVITA’
LA RETE LOCALE COME ALTERNATIVA
PER LA PICCOLA IMPRESA

di Claudio Morselli

Il risultato delle recenti elezioni politiche ha fatto riemergere il dibattito sulla cosiddetta questione settentrionale. Sia pure con diverse sfumature e con diverse argomentazioni, molti commentatori hanno messo in risalto il modesto risultato elettorale del centro-sinistra nel Nord d’Italia, dove invece la Casa delle Libertà, pur senza ripetere l’exploit del 2001, ha recuperato voti rispetto alle ultime elezioni regionali. Ne hanno parlato, tra gli altri, Angelo Panebianco (Corriere della Sera del 13 aprile), Marco Alfieri (Il Riformista del 13 aprile), Luciano Gallino (l’Unità del 14 aprile), Ilvo Diamanti (La repubblica del 16 aprile), Sara Monaci, Claudio Pasqualetto e Marco Morino (Il Sole-24 ore del 16 aprile) e Manuela Cartosio (Il Manifesto del 19 aprile). Non entro qui nel merito di tali analisi, ognuna delle quali ha un suo fondo di verità. Mi interessa invece riprendere un’affermazione di Luciano Gallino, che condivido, per fare qualche ragionamento sulla collocazione della piccola impresa nell’attuale fase di globalizzazione dei mercati e della competizione internazionale.

Dice infatti Gallino che al Nord la Cina fa più paura delle tasse e che la proposta programmatica dell’Unione, pur valida e molto articolata (anche se difficile da spiegare), conteneva però una grave “dimenticanza”: la concorrenza globale. La Cina, appunto, ma anche l’India e, più in generale, la concorrenza dei paesi emergenti. Credo che Gallino abbia ragione e ritengo, in particolare, che questa “dimenticanza” sia più problematica da recuperare rispetto alla polemica sulle tasse, che pure ha influito, a mio giudizio, sul risultato elettorale. Sulle tasse, infatti, l’Unione ha pagato, in termini elettorali, per un grave difetto di comunicazione, avendo diffuso messaggi confusi e contradditori, anche se in presenza di una proposta fiscale valida e assolutamente non penalizzante per i redditi e i patrimoni medio-bassi, per cui l’errore è facilmente recuperabile. Sulle imprese, invece, il programma dell’Unione si limita ad indicare alcuni interventi, condivisibili (come, ad esempio, gli incentivi mirati, la diffusione dei centri servizi e la riduzione dei costi dei servizi alle imprese), ma commette l’errore di non inquadrare tali proposte nel contesto di una riflessione sulla concorrenza globale e, più in generale, sugli effetti perversi della globalizzazione che ricadono, oltre che sul sistema delle piccole imprese, sul lavoro, sull’ambiente e sulle condizioni di vita delle popolazioni più povere del pianeta.

C’è da dire però che, paradossalmente, lo stesso errore sembra venga commesso anche dai piccoli imprenditori e dai lavoratori autonomi che, mentre lamentano i danni loro provocati dalla concorrenza straniera, dal potere economico-finanziario e dalla grande distribuzione, accettano acriticamente questo stato di cose e non si preoccupano di mettere in discussione i principi del neoliberismo e i meccanismi della globalizzazione che li danneggiano. Non ho chiaramente la pretesa di svolgere analisi approfondite sull’argomento, ma mi sembra evidente che la globalizzazione selvaggia, prodotta dal pensiero unico e perseguita dalle organizzazioni economiche internazionali (WTO, Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale), è lo strumento con il quale si sta affermando il dominio del grande capitale, che cannibalizza le piccole imprese e provoca pesanti ripercussioni, sia in termini di sfruttamento dei lavoratori che di distruzione sistematica dell’ambiente e delle risorse naturali, lasciando metà della popolazione del pianeta in condizioni di estrema povertà. Non a caso si assiste a un processo frenetico di concentrazione e di finanziarizzazione del capitale e non a caso gli utili delle multinazionali raggiungono livelli da capogiro, così come cifre da capogiro sono percepite dai top-manager delle grandi aziende, mentre la precarietà sta diventando la condizione prevalente nel mondo del lavoro e mentre crolla il potere d’acquisto di salari e stipendi.

“La globalizzazione oggi non funziona per molti poveri del mondo. Non funziona per gran parte dell’ambiente. Non funziona per la stabilità dell’economia mondiale”. Chi ha fatto queste considerazioni non è un leader no global, ma Joseph Stiglitz, premio nobel per l’economia, uno che conosce molto bene i meccanismi economici globali, essendo stato consigliere economico dell’ex presidente degli Stati Uniti Bill Clinton e avendo lavorato, come direttore, ai vertici della Banca Mondiale. La globalizzazione, dunque, è fonte di instabilità economica, di devastazione ambientale e di ingiustizie sociali, e a farne le spese sono anche le piccole imprese, gli artigiani, i commercianti, che non possono pensare di recuperare competitività facendone pagare il costo ai lavoratori dipendenti. Di fronte a un sistema economico esasperatamente gerarchizzato, sempre più smaterializzato e avulso dal territorio, dai luoghi e dalle culture, sempre più caratterizzato dalla sua componente speculativa e finanziaria che ne determina le condizioni del dominio su scala globale, occorre pensare a un sistema alternativo, nel quale le piccole imprese e i lavoratori autonomi possano consolidare la loro presenza sul territorio, rafforzando il legame tra attività economiche, pratiche sociali e politiche ambientali, con una rete di scambi e di relazioni che ne garantiscono l’autosostenibilità. Esperienze di questo tipo sono già in atto in molte realtà del nostro Paese, con l’iniziativa, ad esempio, dei distretti di economia solidale, con i quali “si collegano le realtà locali creando dei circuiti economici in cui, per quanto possibile, le esigenze dei vari nodi della rete (consumatori, commercianti, produttori) vengono soddisfatte grazie alla reciproca interazione, valorizzando l’approccio locale e le caratteristiche dei luoghi (conoscenze, peculiarità ambientali, capitale sociale, ecc.) che sono concepite come patrimonio da riprodurre e non come risorse da sfruttare”. Per approfondire l’argomento consiglio la lettura del volume Atlante di un’altra economia, edizioni Manifestolibri, da cui è tratta quest’ultima citazione.