NO PIL
UN’ALTRA ECONOMIA E’ POSSIBILE

di Claudio Morselli

Sul Riformista del 27 settembre scorso Luca Ricolfi (autore di due libri di successo, “Dossier Italia. A che punto è il contratto con gli italiani” e “Perché siamo antipatici?”) sostiene che i Ds si trovano oggi in un cul de sac, dopo aver puntato tutto sulla lista unitaria per ritrovarsi di colpo “soli con se stessi”, aggiungendo però che è stata proprio la loro mancanza di coraggio a rendere più facile la scelta di Rutelli. Secondo Ricolfi, infatti, “Fassino e Prodi la rottura di Rutelli se la sono meritata. Se dici chiaramente qual è la rotta verso cui vuoi portare il paese, allora il fatto che qualcuno cali una scialuppa e tenti di abbandonare la nave appare gravissimo. Ma se tu parli solo di formule astratte, disquisendo del fatto se ci voglia più Ulivo o meno Ulivo, a chi vuoi che importi se alla fine non se ne fa nulla? Io penso che se si continua a ragionare per formule astratte non se ne esce. Dire se ci si debba richiamare al socialismo europeo o all’ulivismo italiano mi sembra un esercizio inutile”.

Sul “che fare” Ricolfi arriva a conclusioni opposte alle mie, ma su questo punto ha perfettamente ragione: sono anni che nel centrosinistra si discute di formule politiche astratte senza affrontare il tema basilare del perché si deve stare assieme e per fare che cosa. Sono mancate quindi le fondamenta dalle quali non dovrebbe prescindere chiunque intenda realizzare un qualsiasi progetto, e ancor di più se l’obiettivo è la costruzione di un nuovo soggetto politico: i contenuti. E non mi riferisco, certamente, ai documenti programmatici di centinaia di pagine, con dentro tutto e il contrario di tutto, illeggibili e incomprensibili, che nessuno leggerà mai. Penso invece ai valori e alle cose fondamentali, a un patrimonio ideale condiviso, all’idea di società che abbiamo da proporre, al futuro che pensiamo di poter costruire, a come pensiamo di rispondere alla devastazione culturale, sociale e ambientale che il pensiero unico del liberismo e l’ideologia del mercato stanno provocando su scala globale. Penso alle risposte ai problemi drammatici che ci stanno di fronte: l’aggravarsi delle diseguaglianze sociali, lo strapotere delle multinazionali, l’annichilimento dei valori umani, un modello di sviluppo che sta distruggendo il pianeta. E invece, non solo non cerchiamo le risposte, ma spesso non ci poniamo nemmeno le domande, nella convinzione che questo è, comunque, il migliore dei mondi possibili e che basta qualche piccolo aggiustamento per mettere le cose a posto. La nostra fede nel progresso e nelle sue qualità taumaturgiche ci impedisce di vedere la realtà, non accettiamo nemmeno l’idea che un’intera fase storica sia da ripensare, che si impongano scelte nuove e coraggiose, che si debba entrare in un nuovo paradigma mentale, mettendo in discussione l’impalcatura che sorregge l’attuale modello economico: crescita, sviluppo, prodotto interno lordo…

Ecco, prendiamo il prodotto interno lordo (Pil), un indicatore generalmente usato per valutare il grado di efficienza di un’economia o, addirittura, il benessere sociale di una nazione, ma che in realtà misura il valore dei prodotti e dei servizi venduti sul mercato, senza alcuna distinzione di merito. Per cui succede, ad esempio, che la crescita del Pil può avvenire anche grazie a produzioni ecologicamente dannose o ad attività economiche che causano disoccupazione, degrado sociale e povertà diffusa, o per gli interventi necessari a rimediare i danni provocati da disastri ambientali, malattie o incidenti di vario genere. Giorgio Ruffolo, che non è certo un “estremista” no global, da tempo critica fortemente l’adozione del Pil – che anche il centrosinistra ha fatto propria – come “stella polare di un’economia di mercato totalitaria”, e sostiene che “l’insignificanza del Pil non è un problema di tecnica statistica, ma una grande ed essenziale questione culturale e politica”. Secondo Ruffolo è necessario depurare innanzitutto il Pil almeno delle sue “bestialità più clamorose”, individuando nel frattempo indici di benessere in grado di rappresentare sinteticamente la qualità sociale nei suoi aspetti più critici: lavoro, ambiente, sanità, istruzione, sicurezza. Joseph Stiglitz – ex consigliere economico di Clinton, ex vicepresidente della Banca Mondiale, premio Nobel per l’economia – sostiene chiaramente che “la globalizzazione, così come è stata praticata finora, non ha realizzato nulla di ciò che avrebbe dovuto. Sicuramente il processo di integrazione economica che è stato sostenuto fino a oggi continuerà a creare povertà e instabilità. È arrivato il momento di cambiare le regole alla base dell’ordine economico internazionale e operare un ripensamento radicale del modo in cui la globalizzazione è stata gestita.”

Che una diversa economia sia possibile lo dimostrano le proposte e le iniziative che anche in Italia, così come in tutto il mondo, stanno portando avanti le realtà associative, i gruppi e i movimenti impegnati sui temi sociali e ambientali. Dal 1999, ad esempio, 41 organizzazioni della società civile si sono unite nella campagna “Sbilanciamoci!” e da alcuni anni – con il contributo di economisti, sociologi, sindacalisti e ambientalisti – presentano una controfinanziaria alternativa a quella del governo. E’ stato fatto anche quest’anno, il mese scorso. Chi se n’è accorto?


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